Economia

L'industria multimiliardaria
dell'acqua confezionata

3 marzo 2022

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L'acqua: una risorsa essenziale e la sua scarsità

L’acqua è la risorsa essenziale per la vita umana e per il sostentamento dell’intero sistema economico.

Solo lo 0,007% dell’acqua complessiva presente sul nostro pianeta è pulita e facilmente accessibile. Essa non è spesso distribuita in maniera ottimale tra tutte le popolazioni e la sua offerta dipende da molti fattori come il clima e il suo attuale stravolgimento o l’efficienza e l’efficacia della sua rete di distribuzione.

Nei decenni passati era comunemente diffusa l’idea che l’acqua fosse presente in quantità abbondanti, ma il progresso economico, una popolazione in crescita e uno sfruttamento irrazionale, hanno contratto, o meglio prosciugato le risorse idriche presenti. L’acqua si ottiene generalmente dalle falde acquifere (fonti sotterranee), dalla superficie come laghi e fiumi (fonti superficiali), dalla desalinizzazione del mare o dalla purificazione delle acque reflue. L’eccessivo utilizzo delle risorse idriche nel corso degli ultimi 50 anni ha generato molte problematiche relative alla sua scarsità, impattando profondamente sull’ecosistema naturale e sul suo approvvigionamento. I cambiamenti climatici non hanno fatto altro che peggiore la situazione.

Le Nazioni Unite affermano come entro il 2040 potrebbero esserci circa 4,5 miliardi di persone colpite da una crisi idrica. Oggi, circa 2,7 miliardi di persone sono soggetti a scarsità d’acqua almeno un mese all’anno, mentre mezzo miliardo di persone nel mondo affronta una grave scarsità d’acqua durante tutto l’anno solare. Oggi invece circa 800 milioni di persone non hanno accesso ad una fonte di acqua pulita. Nella figura è indicato il livello di stress idrico per paese che, secondo il World Resource Institute, potrebbe manifestarsi entro il 2040.

Acqua confezionata vs. acqua da rubinetto

Una domanda di acqua in forte crescita e un’offerta sempre più scarsa hanno favorito negli anni passati la nascita di una industria multimiliardaria: l’acqua in bottiglia.

Le inefficienze dettate dalla gestione pubblica dei sistemi di approvvigionamento idrico, i costi nascosti e la scarsità derivante, hanno consentito a molte imprese private di entrare nel mercato dell’acqua da bere, attraverso la vendita dell’acqua in bottiglia. Nel tempo si è quindi generata una competizione tra l’acqua in bottiglia e l’acqua potabile che scorre dai rubinetti. Le società delle bottiglie hanno risposto ad una domanda in crescita che il sistema idrico “pubblico” non ha saputo soddisfare. La distribuzione dell’acqua nelle case delle famiglie è di solito affidata ad imprese che operano in contesti di monopolio naturale. Non esiste quindi un mercato dell’acqua (eccetto alcuni in California, Cile e Australia).

La crescita dei fatturati delle società delle bottiglie è stata spinta dalla necessità di incrementare l’efficienza del sistema idrico. Il vantaggio principale di queste imprese private, rispetto all’acqua da rubinetto, risiede nella possibilità di ascoltare pienamente i bisogni dei consumatori, cogliendo in poco tempo i loro cambiamenti. Tuttavia, si sono susseguiti molti dibattiti in merito alla vendita di bottiglie di plastica contenenti acqua, condotti dagli attivisti che sostengono che le normative permissive consentono all’acqua in bottiglia (e alle bottiglie) di avere paradossalmente più contaminanti. Inoltre, secondo gli attivisti, passare dall’acqua del rubinetto a quella in bottiglie ridurrebbe il sostegno al finanziamento della manutenzione delle infrastrutture comunali.

Regolamentare eccessivamente anche il mercato delle bottigliette, o persino vietarlo come auspicano gli attivisti, rafforzerebbe unicamente il potere dei monopoli della distribuzione dell’acqua da parte di società pubbliche (o ibride), e sulla base del loro operato fino ad ora, ciò potrebbe causare ulteriori inefficienze. Inoltre, è importante precisare come il valore di mercato (in termini di ricavi) delle bottigliette d’acqua non copra interamente gli elevati costi che si dovrebbero sostenere per la manutenzione delle infrastrutture. In più, il denaro ottenuto dalla distribuzione dal rubinetto che secondo gli attivisti dovrebbe essere destinato al finanziamento delle infrastrutture invece che all’acquisto di bottiglie d’acqua, presenta una controparte, ossia è necessario erogare un servizio in corrispondenza del pagamento di questo da parte dei cittadini; quindi, il denaro recuperato dalle utilities è relativo all’erogazione di più acqua che esaurisce ulteriormente le sorgenti, che non vengono gestite in maniera efficiente.

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Perché non vengono gestite in maniera efficiente?

La distribuzione dell’acqua a livello pubblico si realizza con un’alta intensità di capitale e quindi di costi. A questi sono associati ulteriori e corposi costi di manutenzione: spesso molta dell’acqua immessa nelle reti si perde a causa di infrastrutture obsolete. Inoltre, le utilities dell’acqua impongono generalmente un prezzo volumetrico alle famiglie, uguale al costo medio, che non copre in alcuni casi gli elevati costi di manutenzione oltre che incentivare un consumo eccessivo di acqua. A ciò si aggiungono gli innumerevoli problemi legati alla gestione politica dell’acqua e alla volatilità del tempo atmosferico. Il prezzo applicato non riflette la scarsità e gli altri costi ambientali.

Ovviamente, è importante concordare con gli attivisti in merito all’inquinamento creato dalla dispersione delle bottiglie d’acqua in plastica nell’ambiente (aggiungendo a queste anche quelle di altre bevande). Solo una piccola parte delle bottiglie di plastica consumate viene riciclato in maniera efficiente. Il problema dell’inquinamento dalla plastica è rilevante nelle zone carenti di strutture ottimali per il riciclaggio. Alcuni ricercatori giapponesi testando l’acqua dell’oceano hanno individuato il bisfenolo-A (BPA), una sostanza chimica contenuta nelle bottiglie di plastica, in tutti i 200 siti oceanici visitati. Il consumo di plastica può creare un’esternalità negativa inquinando l’oceano, un “bene comune” che non ha nessun proprietario. Vietare le bottiglie in plastica, significherebbe ritornare a quelle in vetro a cui però sono associati costi di trasporto più alti per via del loro peso maggiore. Una soluzione potrebbe essere quella di incentivare le persone a consegnarle in appositi siti per il riciclaggio, dando loro in cambio piccole somme di denaro. In Italia, il 45% delle bottiglie è riciclato, mentre in Germania si registra un valore pari al 95%.

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Il valore del mercato dell'acqua in bottiglia e l'Italia

Secondo un recente studio realizzato da BlueWeave Consulting il mercato globale dell’acqua in bottiglia valeva circa 230 miliardi di dollari nel 2020. Secondo la ricerca si prevede che il mercato crescerà tra il 2021 e il 2027 con un CAGR dell’8,3%, raggiungendo 405 miliardi entro la fine del 2027. Il mercato dell’acqua in bottiglia è in forte aumento per la crescita dei livelli di inquinamento dell’acqua da rubinetto e del calo dell’accesso ad acqua potabile pulita e sicura. Le persone preferiscono sempre più affidarsi all’acqua in bottiglia, sicuramente pulita e che è facilmente acquistabile nei supermercati. 

I consumatori sono maggiormente consapevoli oggi dei vari problemi di salute causati dall’acqua contaminata. Inoltre, la crescita dei consumi di acqua confezionata è dipesa anche dalla stagnazione dei soft drinks, considerati sempre più non salutari per l’organismo umano.  Il mercato è a sua volta segmentato tra acqua minerale, purificata, frizzante, aromatizzata e molte altre tipologie. Il prezzo medio al litro applicato è di circa 0,40€ a livello globale, di 0,30€ nell’Unione Europea e di 0,20€ in Italia. Il consumo mondiale è cresciuto negli ultimi 20 anni con un tasso del 7,4% annuo. La Cina rappresenta il maggior mercato, un primato incontrastato dal 2009. Nella figura seguente si osserva la crescita del mercato dell’acqua confezionata (GrandViewResearch)

Nel periodo pre-Covid, 2010-2019, l’export di acque minerali italiane è raddoppiato (+101%). Soltanto il caffè ha fatto meglio (+119%). Anche se la pandemia ha rallentato le esportazioni italiane (-11%), il nostro Paese ha fatto meglio della Francia (-15%). L’Italia è il nono mercato mondiale, sostenuto dalla ricchezza delle fonti (oltre 300) e da elevati consumi per abitante: 222 litri, secondo al mondo dietro il Messico. Inoltre, il Bel Paese è il secondo esportatore di acqua confezionata minerale dell’UE, dietro la Francia, e il terzo mondiale dopo anche la Cina. In UE l’Italia è anche il primo esportatore di acqua gassata, con una quota del 50% in Europa.

Tra i top esportatori mondiali anche la Georgia e le Fiji. Negli ultimi anni, l’Italia ha aumentato la propria quota di mercato in diversi paesi del mondo: negli USA detiene un market share del 41%. Gli Stati Uniti sono il primo Paese che importa più acqua al mondo, insieme a Belgio, Germania, Giappone e UK.

Il marketing è molto importante per le imprese operanti nel settore. Tramite costose pubblicità e packaging accattivanti, oltre che ad impatto zero, si cerca di far apparire un marchio di acqua confezionata migliore delle altre. Questo permette alle aziende di aumentare anche il prezzo.

Nestlé, Coca Cola e Pepsi: i leader mondiali

L’acqua in bottiglia può arrivare ovunque, soprattutto quando si manifestano delle emergenze. Ma la logica del profitto di queste aziende soddisfa al meglio le esigenze dei consumatori? Lo fa nel migliore di modi, o inganna i consumatori? L’industria dell’acqua in bottiglia è stata creata dal nulla e da quel momento, un gruppo ristretto di persone guadagna miliardi di dollari ogni anno da sorgenti che, secondo molti, dovrebbero essere pubbliche. Il consumo di bottigliette d’acqua è incrementato con l’aumento della sfiducia delle persone nei riguardi della qualità dell’acqua che scorre dai rubinetti. I dibattiti in merito ai diritti idrici sono molti e si susseguono da secoli creando anche sanguinose guerre tra Paesi e all’interno degli stessi. Il problema si amplifica quando si pensa all’acqua come un diritto e non come ad uno strumento di business e di profitto.

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Flint, una città del Michigan, è famosa per il veleno nell’acqua dei rubinetti. Nell’aprile del 2014 un sistema di tubazioni vecchio e mal tenuto ha iniziato a perdere piombo inquinando l’acqua della città. Il governo ha risposto a tal problema in maniera molto lenta, aumentando la sfiducia dei cittadini in merito all’acqua del rubinetto. Nestlé Water, divisione del gruppo Nestlé, storica multinazionale attiva nel settore alimentare con sede in Svizzera, decise di donare circa sei milioni di bottiglie della sua acqua di sorgente Ice Mountain, con l’intento di tutelare la salute degli abitanti di Flint. L’acqua di fonte Ice Mountain proviene dal sottosuolo a 160 km a nord di Flint e Nestlé la estrae con una velocità di 2 mila litri al minuto.

Ciò significa che tutta l’acqua donata a Flint equivale ad una produzione di pochi giorni. Queste problematiche avvantaggiano le multinazionali delle bottiglie d’acqua, così come Nestlé, che non si preoccupano di rimediare al problema dell’acqua inquinata ma vedono in questo solo e unicamente un’opportunità di business. Inoltre, vivere di sole bottigliette d’acqua è insostenibile, in quanto l’acqua è utilizzata per molti altri scopi, come il lavarsi. La soluzione offerta da Nestlé di donare, apparentemente etica e di buon gusto, è nella pratica insostenibile per il lungo periodo. L’industria delle bottiglie d’acqua 40 anni fa non esisteva ma oggi, nel mondo, vengono bevute circa 378 miliardi di litri d’acqua in bottiglia.

Dal 2005 la città di Evart, sempre nel Michigan, ha permesso a Nestlé di estrarre circa 2 miliardi di litri d’acqua dai suoi pozzi, imbottigliata successivamente in Ice Mountain. La città, con bassi livelli di reddito, ha accettato la proposta di Nestlé, in cambio della costruzione di scuole e di qualche posto di lavoro negli impianti di imbottigliamento. Nestlé paga per quest’acqua lo stesso prezzo che pagano gli abitanti sulla bolletta mensile (3,60$ ogni 3785 litri circa). Tuttavia, quei 3,60$ possono far fruttare a Nestlé fino a 7.000 $ sugli scaffali dei supermercati. La strategia adottata da Nestlé per convincere gli abitanti di Evart a permettere alla multinazionale di esaurire gradualmente le proprie falde acquifere è una pratica che Nestlè usa da sempre, e spesso e volentieri.

La società svizzera ha costruito negli anni un’industria multimiliardaria partendo dall’idea che l’acqua del sottosuolo abbia proprietà benefiche per la salute. Negli USA e in Europa alcune delle prime acque in bottiglia provenivano da località termali rurali, da sorgenti dove le persone si recavano per cure mediche o per vacanza. I centri benessere dell’800 erano costruiti intorno a sorgenti naturali. Con la distribuzione delle prime bottigliette si garantiva, attraverso molte pubblicità, di curare alcune malattie grazie al loro contenuto di minerali. Tuttavia, l’ignoranza diffusa a quei tempi non consentiva di capire che città sempre più popolate riversavano i loro liquami negli stessi fiumi da cui poi la bevevano. Molte delle malattie che la gente contraeva erano causate proprio dall’acqua. Con il progredire delle scienze si scoprì come purificare l’acqua, aggiungendo del cloro per trasformare l’acqua da rischiosa a sicura e molte città decisero di aggiungere il cloro nell’acqua comunale.

Ad un tratto l’acqua in bottiglia non serviva più e molte aziende fallirono, finché entrò in gioco l’acqua Perrier. Questa aveva successo in Francia da più di cento anni e voleva entrare nell’enorme mercato americano. Era considerata più che altro come una bevanda dagli effetti quasi sovrannaturali (a detta delle pubblicità dell’epoca), che avrebbe dato inizio ad una nuova era della salute. Nel corso del tempo Perrier acquisì vari marchi statunitensi come Poland Spring, Arrowhead, Deer Park ecc. e poi Perrier stessa venne acquisita da Nestlé. Con una grande quota di mercato negli USA, il vero problema non era la domanda bensì come soddisfarla con bassi livelli di forniture. A Nestlé serviva molta materia prima per la propria acqua di sorgente, ma le sorgenti che sgorgano naturalmente di solito non hanno un gran volume di acqua e non sono abbastanza grandi per soddisfare l’enorme crescita della domanda del prodotto. Nestlé riuscì a trovare una soluzione molto ingegnosa.

L’acqua pubblica negli Stati Uniti è regolamentata dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente, ma l’acqua in bottiglia è controllata a livello federale dalla Food and Drug Administration. Gli imbottigliatori hanno così pressato la FDA affinché codificasse una definizione di acqua di sorgente utile alle loro pratiche. Dal 1996, infatti, Nestlé può vendere acqua di sorgente senza prenderla direttamente da una vera sorgente. Basta attingere da una falda acquifera sotterranea, purché sia collegata in qualche punto ad una sorgente. Il problema dell’acqua di falda è che se si estrae più in fretta di quanto si riformi naturalmente, il suo livello cala drasticamente. Se ciò accade i pozzi si prosciugano, così come i corsi d’acqua alimentati da falde sotterranee, e interi ecosistemi vengono devastati. Per questo motivo, quando Nestlé iniziò a proporre la costruzione di nuovi stabilimenti, l’opinione pubblica venne fuori, costringendo la società a cercare nuovi luoghi dove piazzare i propri impianti di estrazione, lontani dai media e da cittadini “ficcanaso”.

La Nestlé è stata chiamata in causa in California, nella quale operava con licenze di estrazione scadute, nel Wisconsin, nel Connecticut e nel Michigan, dove venne accusata di pubblicità ingannevole, in quanto l’acqua di sorgente Ice Mountain, che doveva provenire dalle sorgenti del Michigan, in realtà era estratta da pozzi nel Maine o in Pennsylvania. I cittadini del Michigan sostenevano che Nestlé stesse sminuendo l’impatto delle proprie attività estrattive e che l’imbottigliamento avrebbe impoverito molto le risorse idriche locali, anche se il Michigan è lo Stato USA con più risorse d’acqua. Dopo numerose chiamate in giudizio, Nestlé riuscì ad aprire i propri stabilimenti ad Evart, in Michigan e in molti altri luoghi di questo Stato. Nestlè estrae ogni giorno oltre 4 milioni di litri d’acqua al giorno dai pozzi in Michigan e oggi controlla 1/3 del mercato americano dell’acqua in bottiglia.

Negli anni ’90 gli imbottigliatori hanno trovato nuovi modi per guadagnare dall’acqua senza il fastidio di dover trivellare per ottenerla. Si è infatti ideata l’acqua depurata, diversa dall’acqua di sorgente. Coca Cola e Pepsi vendono rispettivamente le bottiglie d’acqua depurata Dasani e Aquafina. Insieme questi due marchi rappresentano poco meno del 20% di tutta l’acqua in bottiglia venduta negli Stati Uniti. L’acqua depurata si ottiene sottoponendo l’acqua da rubinetto a processi di osmosi inversa, rimuovendo ogni sostanza e minerale che può esserci all’interno e aggiungendo altri minerali ( in quanto l’acqua totalmente depurata e distillata ha davvero un pessimo sapore). L’acqua depurata proviene quindi da acquedotti pubblici ma è poi venduta come un prodotto commerciale.

Le maggiori vendite di acqua depurata avvengono nei Paesi in via di sviluppo, a prezzi decisamente elevati per il posto: le persone non vivono senza acqua e sono quindi quasi obbligate a spendere gran parte del proprio stipendio, ai minimi, in acqua in bottiglia. Una domanda senza un’offerta adeguata rappresenta una favolosa opportunità di business. Per un nigeriano medio una sola bottiglia di acqua depurata può costare fino alla metà della propria paga giornaliera. In Nigeria, le vendite sovraprezzo di acqua in bottiglia sono aumentare del 7% annuo negli ultimi 10 anni. Oltre ad Aquafina (Pepsi) e Dasani (Coca Cola), in Nigeria vengono vendute bottiglie Pure Life, l’acqua depurata di Nestlé. La Pure Life, creata per lo più per il terzo mondo da Nestlé, è l’acqua in bottiglia più venduta nel pianeta.

Nel 2005 e nel 2016 la multinazionale svizzera ha costruito due impianti ad osmosi inversa vicino Lagos, in Nigeria, precisamente a Manderegi. Alla comunità, molto povera e costretta a camminare per oltre un’ora per raggiungere il fiume più vicino e dissetarsi, è stato promesso che sarebbero stati costruiti dei rubinetti con acqua pulita e gratuita, oltre che delle scuole. Gli abitanti non potevano ovviamente permettersi la Pure Life, che veniva estratta dal loro stesso sottosuolo. I rubinetti furono costruiti ma piazzati ad una distanza quattro volte più grande rispetto a quella per raggiungere il fiume. Gli abitanti di Manderegi continuano così ad andare al fiume per dissetarsi, un fiume che è per giunta inquinato. La città di Lagos che vive sostanzialmente di acqua in bottiglia, sta ovviamente anche affrontando il problema della troppa plastica dispersa. In Lagos su 21 milioni di abitanti, 19 milioni non hanno accesso a nessuna rete idrica statale. Le inefficienze del governo sono molte, e le società delle bottiglie d’acqua hanno instillato l’idea che l’acqua pubblica non può funzionare.

Una perdita di fiducia nei confronti dei sistemi idrici pubblici indurrà sempre più le persone ad acquistare l’acqua in bottiglia, d’altronde è lecito chiedersi il perché si dovrebbero pagare le tasse per un’acqua contaminata quando invece si può acquistare al supermercato. Questo pensiero induce sempre più a investire di meno nella rete idrica.

Fonti:

  • The End of Abundance, David Zetland
  • Our World in Data
  • Mediobanca
  • Rotten, Netflix
  • Globenewswire
  • Il Sole 24 Ore

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