Economia
L'economia globale nei prossimi 50 anni
16 dicembre 2022
L’ultimo decennio, dopo la crisi finanziaria globale del 2008, è stato caratterizzato da una crescita della produttività deludente, da programmi di stimolo da parte delle Banche Centrali e dai governi, da un aumento del protezionismo globale, dalla pandemia da Covid-19, e più recentemente dalla guerra in Ucraina. Per un investitore consapevole è fondamentale osservare il presente per comprendere quali potrebbero essere i driver principali che guideranno le economie e di conseguenza i mercati azionari nei prossimi decenni. Scopriamo alcuni di questi driver, analizzando un buon report realizzato e pubblicato da Goldman Sachs pochi giorni fa: “The Path to 2075 – Slower global growth, but convergence remains intact”.
Goldman Sachs identifica quattro temi principali per l’economia globale da affrontare nei prossimi 50 anni:
- Rallentamento della crescita globale, guidata da una crescita demografica più lenta: la crescita globale è rallentata da una media del 3,6% annuo nei 10 anni precedenti la crisi finanziaria del 2008, ad un 3,2% annuo nel decennio precedente l’inizio della pandemia. Il rallentamento si è diffuso sia nell’economie sviluppate che in quelle emergenti e vede nella combinazione tra una minore crescita della popolazione mondiale e della produttività le cause principali. La produttività si è contratta per via del rallentamento del ritmo della globalizzazione e del progresso tecnologico. Nel grafico si può notare come dopo il 2008 sia diminuito il tasso di crescita del PIL globale e come nei prossimi decenni, questo continuerà a ridursi sempre di più (media del 2,8% tra il 2024 e il 2029, rispetto al 4% tra il 2000 e il 2010).
Il rallentamento dell’economia nel decennio passato è stato determinato, come anticipato, da una minore crescita della popolazione e della produttività globale. Il rallentamento di quest’ultima in seguito alla crisi finanziaria del 2008 può essere spiegata, in modo superficiale, da:
– una decelerazione del ritmo del progresso tecnologico
– una contrazione della globalizzazione
Per i prossimi decenni sarà fondamentale osservare come l’avvento dell’intelligenza artificiale (o di altre nuove tecnologie, come la recente scoperta della fusione nucleare) potrà spingere ulteriormente a rialzo il progresso tecnologico e di conseguenza la produttività.
Riguardo la popolazione, negli ultimi 50 anni il ritmo della crescita demografica si è dimezzato, da circa il 2% all’anno a meno dell’1% attuale, e secondo le Nazioni Unite il tasso scenderà quasi a zero entro il 2075. Da un certo punto di vista, può essere un vantaggio, in quanto più aumenta la popolazione e più sono necessarie risorse e lo sfruttamento dell’ambiente. D’altra parte, una popolazione sempre più vecchia rappresenta una seria problematica per i conti degli Stati che dovranno erogare sempre più pensioni e servizi sanitari. Meno forza lavoro significa meno produttività, e quindi una minor crescita dell’economia.
2. I mercati emergenti continueranno a crescere rispetto a quelli sviluppati: anche se la crescita dell’economia rallenterà nella maggior parte dei Paesi, in termini relativi i Paesi emergenti dovrebbero crescere ad un ritmo superiore, come si nota dal grafico seguente. I redditi e il tenore di vita degli EM convergeranno verso quelli dei Paesi avanzati. La maggior parte della creazione di ricchezza dovrebbe spostarsi di più verso l’Asia nei prossimi 30 anni. Dal grafico seguente si osserva come prima degli anni ’80, la crescita dei mercati emergenti era più un evento raro che la norma. Dagli anni ’90 in poi, i paesi emergenti hanno battuto ogni stima, sovraperformando i paesi sviluppati nel primo decennio del 2000. La sovraperformance degli EM è stata favorita soprattutto dalle economie asiatiche, in particolare dalla Cina. Dal 2000 al 2010, il tasso di crescita del PIL pro capite degli USA e dell’Europa è fortemente rallentato, a differenza di quello dell’America Latina, dei Paesi africani, dell’Europa dell’Est e dell’Asia centrale. Dal 2010, invece, il PIL pro capite è rallentato sia nei DM che negli EM, anche se la crescita del PIL è rimasta significativamente più veloce nei paesi emergenti. Il decennio appena concluso è stato quindi caratterizzato da un minore tasso di crescita del PIL pro capite ma da un aumento della convergenza tra EM e DM.
Secondo Goldman Sachs entro il 2050 le principali economie mondiali saranno la Cina, gli Stati Uniti, l’India, l’Indonesia e la Germania. Estendendo le proiezioni al 2075, si dovrebbe assistere anche ad una forte crescita di paesi come la Nigeria, il Pakistan e l’Egitto. Una popolazione elevata con il giusto livello di innovazione, istruzione e risorse, può migliorare nettamente il proprio livello di ricchezza. È quello che sta succedendo ora alla Cina, e in parte all’India ed è quello che potrebbe accadere a Paesi oggi sottovalutati, come quelli africani.
Dalla tabella seguente si possono invece osservare i tassi di crescita del PIL per ogni zona del mondo. Le stime di GS indicano come la crescita globale nel periodo 2024-29 sarà più veloce del 2020-24, ma più lenta del decennio 2010-2019 (2,8% vs. 3,2%), con i paesi emergenti che cresceranno ad un ritmo più elevato rispetto a quelli sviluppati tra il 2024 e il 2029 (3,8% vs. 1,8%), ma in misura minore rispetto ai decenni precedenti. In particolare, la Cina crescerà a ritmi più lenti rispetto all’India e all’Indonesia, e soprattutto rispetto ad alcuni Paesi africani e latino americani come l’Egitto e il Peru.
La Cina probabilmente, diventerà la prima potenza al mondo, ma in futuro, gli Stati Uniti potrebbero ricominciare a crescere a tassi più alti rispetto al Dragone Asiatico. Per questo motivo gli USA con molta probabilità occuperanno sempre le prime posizioni, con un netto distacco rispetto all’Indonesia e alla Nigeria, nel 2075, in termini di PIL. Lo si osserva dal grafico:
3) Gli Stati Uniti non cresceranno quanto hanno fatto negli ultimi decenni: i tassi di crescita degli USA sono stati al di sopra della media negli ultimi anni, con un rafforzamento del dollaro, soprattutto recentemente per via dell’aumento dei tassi d’interesse da parte della FED. Il PIL reale degli Stati Uniti ha superato nettamente le proiezioni di molti analisti nei decenni passati, e il dollaro è ovviamente diventata la valuta di riserva più importante. Come sostiene il noto investitore Ray Dalio la valuta di un Paese si rafforza sempre più con l’aumento del peso di questo nell’economia globale, come successo nei secoli scorsi per l’impero britannico e olandese. Tuttavia, come la storia conferma, la crescita di un’economia e della sua valuta raggiunge prima o poi un picco di un lungo ciclo. Gli USA potrebbero aver raggiunto il loro picco e per questo motivo, con molta probabilità, la sua crescita potenziale negli anni che verranno potrebbe essere inferiore rispetto a diversi paesi emergenti.
4) Una maggiore disuguaglianza locale, e una minore disuguaglianza globale: la convergenza dei Paesi emergenti negli ultimi 20 anni e il loro progresso economico hanno migliorato la distribuzione globale dei redditi. Uno dei motivi potrebbe essere la globalizzazione, quindi l’apertura internazionale di molti mercati in via di sviluppo. Tuttavia, mentre la disuguaglianza di reddito tra Paesi è diminuita, la disparità di reddito al loro interno è aumentata. Una forza che ha contribuito a questa discrepanza è sicuramente rappresentata dal corposo aumento della ricchezza finanziaria avvenuto nel decennio passato: politiche monetarie ultra-accomodanti, quindi tassi di interesse bassi hanno favorito i più ricchi, sostenuti da un forte incremento del valore di mercato dei propri asset finanziari, come le azioni. Dal grafico si osserva come le disuguaglianze tra economie (curva di Lorenz) siano diminuite drasticamente e continueranno a restringersi sempre più nei prossimi decenni.
Alcuni dei rischi più importanti per il futuro
Tra i rischi più significativi individuati da Goldman Sachs per il lungo termine vi sono il protezionismo e il cambiamento climatico. Questi potrebbero minare profondamente la crescita mondiale e la convergenza dei redditi. Il protezionismo è legato al nazionalismo populista diffuso tra i governi di molti Paesi. Il populismo si afferma di solito quando esistono forti spaccature all’interno di un Paese, tra gli stessi cittadini, in termini sia di valori che di redditi e ricchezza. Il protezionismo segue una direzione opposta alla globalizzazione. Il rischio è che la fine della globalizzazione possa aumentare le disparità di reddito e i prezzi (meno competizione tra prodotti e manodopera, spingono a rialzo i prezzi). Gli effetti di una deglobalizzazione si sono osservati già dopo la crisi finanziaria del 2008.
Come letto in precedenza, una delle cause più rilevanti che ha contribuito al rallentamento della crescita economica globale negli ultimi dieci anni, insieme al rallentamento del progresso tecnologico, è stata la contrazione della globalizzazione. Il periodo 1990-2010 è stato contraddistinto da tassi di crescita dell’apertura dei mercati decisamente rapidi (si fa riferimento non solo allo scambio internazionale di beni, ma anche di capitali, persone, tecnologie, dati e idee). Dal grafico si nota come il commercio globale sia diminuito dal 2008:
I cambiamenti climatici potrebbero invece aumentare l’imprevedibilità degli eventi atmosferici: siccità e inondazioni mettono a dura prova la produzione di cibo e di acqua pulita facilmente accessibile. La volatilità del tempo cambia radicalmente i processi produttivi. Per questo motivo, una crescita economica dovrebbe essere accompagnata necessariamente da una riduzione delle emissioni dannose e non solo, le quali esasperano il clima rendendolo una variabile difficile da misurare, e capace di distruggere ricchezza reale e monetaria.
I mercati azionari dei Paesi emergenti
Anche se negli ultimi dieci anni i paesi emergenti sono cresciuti ad un ritmo superiore di quello dei paesi sviluppati, ciò non si è riflesso nei mercati azionari. Nel grafico si può osservare l’andamento del rapporto tra l’MSCI EM Index e l’MSCI World Developed Index: si nota come dal 2010 il rapporto sia diminuito, indicando una sovraperformance dell’azionario dei paesi sviluppati.
Secondo Goldman Sachs si possono elencare tre fattori che hanno contribuito ad una sottoperformance degli EM negli ultimi anni:
– Aspettative troppo alte sulla crescita dei Paesi emergenti: dal 2000 al 2010 le economie e i mercati azionari degli EM hanno sovraperformato i DM, sorprendendo gli investitori, che ancorandosi ad una poderosa crescita nel primo decennio del nuovo millennio, hanno ipotizzato che questi ritmi potessero continuare nei successivi 10 anni, cioè dal 2010 in poi. Ma ciò non è accaduto: anche se le economie degli EM sono cresciute a ritmi più elevati dei DM, hanno rallentato dopo la crisi finanziaria del 2008, deludendo le attese degli investitori. Oggi però, dopo più di un decennio di sottoperformance nei mercati azionari, le valutazioni degli EM appaiono relativamente basse rispetto ai DM. In altri termini, le azioni delle società operanti nei Paesi emergenti risultano scontate rispetto a quelle dei Paesi sviluppati. Come si osserva nel grafico precedente, più il rapporto tende a ribasso e più le società degli EM sono economiche in confronto ai DM.
– La ciclicità degli utili. Gli utili delle aziende, quindi gli Earnings per share delle società, seguono l’andamento ciclico di un’economia. Il rallentamento delle economie EM, seppur in crescita, negli ultimi anni, ha aumentato la volatilità degli utili aziendali. Gli investitori preferiscono una certa stabilità degli utili in modo da diminuire i rischi. Affinché i mercati azionari emergenti crescano nei prossimi anni è necessario che gli EPS riprendano a crescere in maniera consistente. Si ricorda come vi sia una forte correlazione tra il rendimento dei mercati azionari e gli utili delle società che li compongono.
– Bassa correlazione tra il PIL degli EM e gli utili delle società EM. Alcune ricerche hanno dimostrato che il tasso di crescita degli EPS dei mercati emergenti è stato minore rispetto al tasso di crescita del loro PIL. Uno dei motivi principali è che mentre gli investimenti esteri (Foreign Direct Investment = FDI) dai DM alle economie EM rappresentano un importante motore della crescita del PIL dei paesi emergenti, i guadagni derivanti da tale investimento vengono restituiti alle società di DM che hanno promosso tali investimenti. La produzione dell’investimento conta come PIL dei EM, mentre il profitto monetario da tali investimenti è registrato come utile dei DM.
Nei prossimi anni ci si potrebbe quindi aspettare un ritorno alla crescita dei listini azionari dei Paesi Emergenti, supportati da una maggiore stabilità degli utili aziendali, della crescita del PIL, dell’affermarsi di un nuovo ordine mondiale, e da una riduzione del Rischio-Paese.
Fonti:
- Goldman Sachs
- Fondo Monetario Internazionale
- Il Nuovo Ordine Mondiale – Ray Dalio
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