Economia

L'isola dei
Semiconduttori: TSMC e gli interessi della Cina

4 febbraio 2022

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Una tecnologia universale

Semiconduttori. Ultimamente se ne parla ovunque. I giornali ci raccontano che mancano, che siamo in piena “crisi dei microchip”, ma spesso si dimenticano di dirci cosa sono e perché senza di loro non funziona niente.

Per avere un’idea di fondo, possiamo partire anche da Wikipedia. I microchip o circuiti integrati sono ‘circuiti miniaturizzati necessari agli apparecchi tecnologici che hanno bisogno di elaborare dati per funzionare’. Questi circuiti sono realizzati su sottili lastre di materiale semiconduttore (in genere silicio) – da qui il termine utilizzato come sinonimo.

Dalle lavatrici agli smartphone, passando per le televisioni, tutti i dispositivi tecnologici moderni non possono funzionare senza microchip. Una auto di ultima generazione, ad esempio, ne impiega circa 3000. In questo articolo in collaborazione con Progetto Prometeo oggi vi parliamo di quanto sono importanti, del perché l’industria è in crisi e di quanto pesano questi piccoli wafer di silicio nel destino di Taiwan.

Progetto Prometeo è un progetto di divulgazione in ambito geopolitico e non solo.        

ll contesto economico

Il 2020 è stato uno degli anni più volatili dell’economia mondiale dal Dopoguerra, con una riduzione del PIL globale del 3,60%, ossia quasi 3000 miliardi di dollari. Come se il peso di un Paese come Regno Unito o India fosse scomparso dall’economia. Il 2021 non è stato da meno.

Dall’inizio del nuovo millennio, il PIL mondiale era sceso solo in altre tre occasioni: nel 2001, 2009 e nel 2015. Tuttavia, nel 2020 l’economia ha subito un impatto molto diverso dalle altre crisi: la pandemia ha fatto sì che i governi mettessero in pausa interi settori, dallo spettacolo alla ristorazione, insieme al lavoro di miliardi di persone. Una crisi sanitaria, economica, sociale e finanziaria.

Nell’anno precedente, per diverse ragioni incluse le dispute commerciali tra USA, Cina ed Unione Europea e una riduzione degli investimenti interni, l’economia mondiale era cresciuta soltanto del 2,30%, il valore più basso del decennio secondo la Banca Mondiale. Dunque, la pandemia è arrivata in un momento di debolezza dell’economia globale, colpendola nel momento peggiore degli ultimi anni.

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Come i semiconduttori hanno scosso l'economia mondiale

La crisi dei semiconduttori rappresenta uno degli aspetti più importanti dell’impatto del COVID-19 sull’economia mondiale. Essa è iniziata già nel 2020 e nel 2021 sta continuando, o meglio sta peggiorando. I problemi si sono visti nella domanda e nell’offerta di semiconduttori, elementi fondamentali per la fabbricazione dei microchip che usiamo ogni giorno.

Sul lato della domanda, le persone costrette a casa dai lockdown, volendo lavorare, studiare o semplicemente contattare amici e familiari, non hanno potuto far altro che aumentare il loro utilizzo di dispositivi tecnologici. Spesso, molto spesso, acquistandone di nuovi per la presenza, ad esempio, di più membri di una stessa famiglia con esigenze di studio o lavoro da remoto o per rinnovare i prodotti con dispositivi di ultima generazione.

Osservando i dati Google Trends, vediamo che le ricerche per acquisto PC portatili in Italia è aumentata di oltre il 100% nel periodo da marzo 2020 a ottobre 2021, rispetto alla media del periodo pre-COVID dal 2016. Vale lo stesso per le ricerche dei termini “iPad” e “Samsung tablet”, entrambi cresciuti notevolmente nonostante una tendenza in discesa già da anni e per molti altri prodotti elettronici.

Un altro elemento che ha contribuito all’aumento della domanda di microchip è Bitcoin.

Grazie ad un forte incremento di prezzo della criptovaluta più nota, ma non solo, a cavallo tra il 2020 e il 2021, moltissime aziende e individui hanno deciso di acquistare nuovi processori in enormi quantità. Le ricerche di componentistica NVIDIA apposita per il mining, ad esempio, sono cresciute di oltre 20 volte a inizio del 2021 rispetto al periodo precedente. Bitcoin e le altre criptovalute, in ogni caso, rappresentano solo una parte della domanda.

L’aumento della richiesta di componenti da parte di milioni di consumatori e aziende ha impattato numerosissimi settori: automobilistico, della produzione industriale, agricolo, dei trasporti e molti altri. I colli di bottiglia che si sono venuti a creare hanno poi avuto effetti indiretti anche su altri settori, causando ritardi nella spedizione di merci a livello globale. Le tempistiche di consegna dei microchip sono aumentate a dismisura nel 2021, come si osserva nel grafico (fonte: Levadata).

Sul lato dell’offerta, le aziende che non riescono a produrre o a spedire in maniera rapida creano inefficienze per i loro clienti e fornitori, e spesso sono costrette ad aumentare i prezzi. Durante il COVID, il trasporto marittimo ha subito dei rallentamenti a causa della chiusura di importanti porti cinesi, causando ritardi in tutte le catene produttive globalizzate.

L’industria delle automobili è l’esempio più eclatante e più trattato dai media statunitensi. Infatti, essa è la quarta industria per richiesta di microchip, con oltre 40 miliardi di dollari l’anno. Le case automobilistiche, in enorme difficoltà a causa della crisi dei chip, hanno dovuto sospendere la produzione proprio mentre la domanda aumentava.

Dunque, il risultato è stato un clamoroso aumento di prezzo delle auto usate, che non accenna a fermarsi, come si osserva dal grafico di Manheim e Cox Automotive a metà gennaio 2022.

Secondo la società di consulting AlixParners, l’impatto in termini di fatturato a causa della mancanza di chip sul settore automobilistico ammonterà nel 2021 a più di 200 miliardi di dollari. General Motors, ad esempio, ha annunciato di aver dovuto “parcheggiare” migliaia di veicoli per i quali mancavano soltanto gli importanti microchip, mentre Nissan ha affermato che ridurrà la produzione prevista di mezzo milione di unità.

Non si può sapere quando la crisi dei semiconduttori finirà: per alcuni analisti ci vorrà il 2022 inoltrato per vedere gli effetti sui consumatori di una riduzione del problema, per il CEO di STMicroelectrononics, importante società del settore, e quello di Intel, dovremo attendere la prima metà del 2023.

Overview del settore e performance in Borsa

Dal punto di vista finanziario, il settore dei semiconduttori è piuttosto complesso. Le varie fasi di produzione hanno diversi requisiti e caratteristiche in termini di struttura del capitale e posizionamento competitivo. Lungo tutta la fase di produzione, la gran parte del fatturato del settore è concentrato nelle mani di poche società, quasi sempre quotate in Borsa.

La prima fase della fabbricazione dei microchip, che comincia con un wafer di silicio, è chiamata “deposition”. Alcune società chiave in questo segmento sono la giapponese Tokyo Electron o la statunitense LAM Research. La seconda fase è la copertura del wafer con uno strato fotoresistente (sensibile alla luce). Si tratta di un processo delicato del quale, tra le altre, si occupano le giapponesi Fujifilm e JSR Corporation e la statunitense The Dow Chemical Company.

La fase centrale, quella della litografia, è considerata la più importante, perchè in essa si determinano la grandezza e la performance computazionale del microchip. Il processo impiega enormi macchine complesse, le macchine litografiche. Il leader indiscusso nei microchip è TSMC, società asiatica che domina il mercato. Le ultime tre fasi, incisione, ionizzazione e packaging sono altrettanto complesse e servono a rimuovere eventuali eccessi di materiale e “tagliare” il chip con precisione. I microchip e le altre unità ad alta tecnologia sono venduti da marchi come NVIDIA, AMD, la stessa Intel o Samsung, ad esempio.

All’interno della complessa catena produttiva dei microchip, il caso dell’olandese ASML è unico. La sua quota di mercato, infatti, è pari all’80% per la fabbricazione dei sistemi litografici, considerati tra le macchine più complesse al mondo. Trasportare soltanto uno di questi macchinari richiede venti camion e tre voli cargo. Per tecnologie ancora più complesse, come l’EUV (Extreme Ultraviolet Lithography), ASML non ha rivali e domina con il 100% di quota di mercato, essendo un fornitore di praticamente tutte le altre società citate in questo paragrafo, e molte altre.

Come detto, gran parte delle aziende di microchip sono quotate in Borsa. Le prime 10 società quotate appartenenti all’industria dei semiconduttori e dei macchinari per semiconduttori valgono complessivamente oltre 2.000 miliardi di dollari.

In particolare, le maggiori per capitalizzazione di mercato sono le già citate NVIDIA ($ 580 miliardi circa), TSMC (600 miliardi), ASML (265 miliardi) e Broadcom (230 miliardi).

Nel 2020-2021, la performance in Borsa delle società di semiconduttori è stata strabiliante: delle maggiori, soltanto la “sfortunata” Intel ha ottenuto un rendimento negativo. Le altre sono cresciute moltissimo, soprattutto NVIDIA, diventata la più grande al mondo nel settore dopo un’incredibile crescita di oltre il 140% nel 2021, prima di ribassi. Anche ASML, grazie alla sua netta posizione dominante, è arrivata a salire del 100% in un anno circa.

Per avere un’idea più completa sul settore si può osservare un fondo che contiene varie società, come ad esempio l’iShares Semiconductor ETF che contiene 30 aziende impegnate in questo ambito. Nell’ultimo anno, ha avuto una performance del 15% circa. Il rendimento cumulativo dall’inizio del 2019 è stato invece del 190%: un investimento di 10.000€ avrebbe generato un profitto lordo di ben 20.000€. (Fonte: iShares)

Semiconduttori: una questione geopolitica

L’industria dei semiconduttori non è tuttavia solo questione finanziaria. Il microchip è il DNA della tecnologia moderna. In altri termini, senza microchip i Paesi, le persone, le macchine e gli aerei si fermano. L’approvvigionamento dei wafer di silicio è questione prioritaria per ogni collettività umana, cruccio di ogni esecutivo del pianeta. Materia di strategia, ancor prima che di mercati.

Aspetto strategico che i microchip raccontano fin dalla nascita. Furono le fonderie texane, cooptate dal governo degli Stati Uniti, a brevettare per prime la tecnologia. All’epoca, nel 1959, lo scopo era quello di inserire dei “piccoli computer” all’interno dei sistemi di guida dei missili nucleari Minuteman II. Di lì, sdoganata l’applicazione militare (strategica per eccellenza), i microchip si insediarono nelle spire della società, rendendosi indispensabili a tutti i livelli.

La produzione dei preziosi semiconduttori è un esempio perfetto di “collo di bottiglia” nelle filiere logistiche della globalizzazione. In gergo tecnico parliamo di catene produttive altamente modulari. Il processo per arrivare al prodotto finito si caratterizza di stadi separati, distribuiti tra diversi attori in diversi paesi. Queste nicchie sono occupate da player di grandissime dimensioni, quasi oligopolisti. Ne consegue che ciascuna fase produttiva dipende da una manciata di aziende.

Il ruolo di Taiwan

Delle fasi principali per produrre un microchip, almeno la metà hanno buona parte della propria aliquota sull’isola di Taiwan. Il 70% delle fonderie e il 50% degli impianti di assemblaggio, test e produzione si trovano sull’isola che fu Formosa – in buona parte nella cornice della Società TSMC, gigante da 600 miliardi di dollari di capitalizzazione.

In pratica, se domani Taiwan smettesse di esistere l’intero approvvigionamento entrerebbe in una crisi irreversibile. Evenienza catastrofica che farebbe impallidire l’attuale shortage e molto difficile da rattoppare. Per replicare l’industria dei semiconduttori in altro luogo, lasciando da parte il know how, servirebbero investimenti per almeno 1000 miliardi di dollari.

Ironia della sorte, il fulcro dell’industria globale dei microchip si situa nello stesso luogo della più importante faglia geopolitica del mondo. È proprio a Taiwan che Stati Uniti e Cina giocano la partita più importante. Pechino considera l’isola ribelle parte del proprio territorio e giura di essere pronta a riprenderla armi in pugno prima del 2049. L’intera strategia americana nella regione punta ad impedirlo, whatever it takes.

Molti analisti hanno radiografato a fondo i possibili sviluppi militari della contesa. Taiwan, intanto, si arma fino ai denti e persegue la “strategia del porcospino”. Intende rendere il più costoso possibile in termini di vite umane un’eventuale invasione cinese. Le forniture di armi dagli Stati Unito aiutano. Sullo sfondo gli alleati di Taipei, USA in primis, promettono sostegno – come ha fatto pochi giorni fa il Presidente Biden e come dimostrano i passaggi della marina americana nello Stretto di Taiwan – in caso di uno sbarco cinese.

La faglia coinvolge tutte le collettività che esistono in quel quadrante ribattezzato Indo Pacifico. Nome coniato ad hoc dagli strateghi giapponesi. E proprio il Giappone, nemmeno a farlo a posta, vede in Taiwan uno dei punti cruciali della propria strategia. I rapporti tra Tokyo e Taipei, però, sono stati per molto tempo complicati.

Fino alla sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale l’isola fu colonia giapponese, che la strapparono alla Cina nel 1895. Nel 1945 tornava sotto la sovranità di Nanchino. Appena quattro anni dopo, i nazionalisti di Chiang Kai-sheck sconfitti da Mao fuggivano a Taiwan per riorganizzarsi.

Inizia immediatamente un’opera di revisione della memoria di Taiwan per assimilarla alla cultura della Cina nazionalista. Passaggio necessario per sostenere le rivendicazioni del governo ad essere riconosciuto come esecutivo dell’unica vera Cina, “momentaneamente” occupata dai comunisti di Mao.

Solo con il 1987 e la fine della legge marziale, tornarono ad emergere i forti legami culturali che legavano Taiwan al Giappone, mai cancellati nonostante decenni di impegno culturale dei nazionalisti. Così, oggi a Taipei le influenza del sol levante sono ben visibili: manga, anime, sushi, negozi, tutto è ricalcato sull’esempio del vicino nipponico.

Anche qui c’è di mezzo un’opera di revisione culturale promossa dal governo. Il Partito democratico progressista, forza ostile alla Cina continentale attualmente al potere, rivaluta strumentalmente l’esperienza del colonialismo giapponese (unico caso forse al mondo) per rinsaldare il fronte con il nemico comune.

TSMC, il Giappone e l'Unione Europea

E anche qui si inseriscono i semiconduttori. TSMC ha infatti annunciato l’intenzione di aprire un impianto per la produzione di semiconduttori in Giappone. Costo stimato: 7 miliardi di dollari. Privilegio che l’azienda taiwanese ha riservato per il momento ad un solo altro alleato di Taipei, gli USA. Qui gli impianti saranno addirittura sei e, a differenza di quello giapponese, potrebbero produrre anche i microchip più avanzati, quelli a 2 nanometri.

A portare avanti le trattative con TSMC da parte giapponese è stata Sony. Un accordo tra soggetti privati che è cartina al tornasole del nuovo corso dei rapporti tra Tokyo e Taipei – e di quelli con Washington. Taiwan utilizza il suo tesoro come assicurazione sulla vita, legando a sé gli alleati e sfruttando il momento di grazia dell’industria dei semiconduttori – almeno per chi produce in tempi in cui la richiesta aumenta del 13% ogni anno e come dimostrano i 100 miliardi di dollari di investimenti annunciati da TSMC.

L’annuncio segue un passaggio particolarmente importante evidenziato nell’ultimo libro bianco della Difesa giapponese. Per la prima volta l’Isola viene nominata direttamente e la sua stabilità e sicurezza collegata direttamente a quella dell’arcipelago nipponico. A confermare che non si tratta di una “leggerezza”, le dichiarazioni del governo giapponese seguite poco dopo, che hanno definito le mire cinesi su Taiwan “una minaccia esistenziale” di fronte a cui il Giappone dovrebbe essere pronto a reagire anche con l’utilizzo della forza.

Approfondire i rapporti con Taipei, per gli alleati, significa due cose. Per molti, come il Giappone, è questione di sicurezza nazionale: l’isola mantiene la Cina confinata nei mari costieri e impedisce di accerchiare (in futuro chissà, invadere) l’arcipelago.

In cambio della protezione, che ormai è argomento che riscuote sempre meno ambiguità nel fronte “occidentale”, Taiwan porta in dote l’unica cosa per cui il mondo non può fare a meno di lei – cercando di mantenere per sé i segreti dei microchip più avanzati.

Allo stesso copione rispondono, ad esempio, anche i recenti sviluppi dei rapporti con l’Unione Europea. La Commissione (che nominalmente riconosce l’Isola come parte della Cina comunista) nomina esplicitamente Taiwan come uno degli snodi cruciali dei semiconduttori nella sua Strategia per l’Indo Pacifico. All’interno del documento si propone di approfondire la cooperazione per promuovere la ristrutturazione delle catene di approvvigionamento degli insostituibili microchip.

Persino l’Unione dunque, tradizionalmente timorosa quando c’è da inimicarsi la Cina, ha poi promosso una serie di misure, tramite votazione del Parlamento, per potenziare la cooperazione con Taipei. Nella relazione si parla di supportare l’Isola di fronte all’aggressività del governo di Pechino. Poco dopo, quasi consequenzialmente, viene ribadito che i rapporti con Taiwan sono cruciali per costruire filiere dei microchip affidabili e sicure.

Per farlo, oltre a stringere con gli altri player del quadrante Indo Pacifico (Corea e Giappone), Bruxelles finisce addirittura ai ferri corti con Pechino, che ribadisce minacciosamente che quello che accade nel Mare cinese meridionale non è affare degli Europei.

Certo, sulle aperture dell’UE all’Isola ribelle pesano le pressioni americane. Ma raramente l’Unione appare così ricettiva alle direttive d’oltreoceano come ora che di mezzo ci sono i microchip – che ricorrono senza soluzione di continuità (ossessivamente?) in ogni documento europeo che riguardi politica estera, commercio e tecnologia.

I casi del Giappone e dell’Unione europea sono paradigmatici per comprendere l’importanza dei microchip nelle relazioni internazionali, senza sottovalutare o sopravvalutare il peso dell’oro taiwanese. Entrambi questi attori sono costretti ad approfondire le loro relazioni con Taiwan. Tokyo per questioni di sicurezza, per interdire alla Cina il controllo del Pacifico. Bruxelles perchè non può ignorare le richieste americane, che ne dettano ancora l’agenda geopolitica. 

Taiwan lo sa, ringrazia e in cambio sugella i patti di alleanza e olia gli ingranaggi della diplomazia promettendo un accesso privilegiato ai preziosi wafer di silicio. Insomma, l’utile e il dilettevole.

Fonti:

  • Bloomberg
  • Finviz
  • Google Trends (2021)
  • Hitachi HighTech
  • Intel
  • iShares
  • Levadata (2021)
  • Manheim / Cox Automotive
  • Moody’s Investors Service
  • MordorIntelligence
  • IEEE
  • TSMC
  • Wall Street Journal (2021)
  • World Bank (2020)

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