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Investire nei Paesi emergenti: il loro ruolo nel portafoglio

20 febbraio 2023

I Paesi emergenti sono quelle economie che stanno attraversando una fase di crescita, sviluppo dell’occupazione ed espansione a livello economico. Investire in strumenti finanziari di questi Paesi può generare rendimenti attraenti, ma allo stesso tempo presenta dei rischi che non bisogna sottovalutare.

In questo articolo vedremo brevemente le caratteristiche degli investimenti in strumenti dei Paesi emergenti insieme a vantaggi e svantaggi per un investitore individuale.

Ma cosa sono esattamente i Paesi emergenti?

Un Paese emergente è una nazione in via di sviluppo che sta attraversando una fase di rapido sviluppo economico e sociale. Questi Paesi sono caratterizzati nella maggior parte dei casi da una popolazione giovane e in espansione, da una crescente urbanizzazione e dalla presenza di mercati finanziari in espansione. La crescita economica di questi Paesi è spesso alimentata dalla disponibilità di risorse naturali, come petrolio e minerali, e dall’espansione del settore manifatturiero.

Negli ultimi decenni i Paesi emergenti hanno registrato un’importante crescita economica e sociale, diventando una delle principali forze trainanti dell’economia globale. Questi Paesi, che comprendono nazioni come Cina, India, Brasile, Russia, Sud Africa, Indonesia e Messico, stanno diventando sempre più importanti per gli investitori, grazie alla loro crescita economica relativa superiore a quella dei Paesi sviluppati e al loro elevato potenziale di sviluppo infrastrutturale. Identificare i Paesi emergenti non è tuttavia semplice: anche alcuni provider di indici azionari, come S&P e MSCI, classificano i Paesi secondo criteri diversi e bisogna fare attenzione anche a questo aspetto quando si investe. Ad esempio, la Corea del Sud fa parte degli indici dei Paesi sviluppati del provider S&P Global, mentre secondo MSCI essa fa parte dei Paesi emergenti (e occupa il 12% circa del noto indice MSCI EM).

Il Prodotto Interno Lordo (normalizzato per il numero di abitanti) è un valido indicatore della ricchezza di un Paese. Come si vede nel grafico, però, non sempre esso basta da solo per spiegare l’appartenenza al gruppo dei Paesi emergenti o di quelli sviluppati. Al 2020, infatti, Paesi del gruppo degli emergenti come Arabia Saudita, Repubblica Ceca o Kuwait avevano tutti un PIL (PPP) maggiore dell’Italia, classificata naturalmente come un Paese sviluppato.

Ci sono diverse ragioni per cui potrebbe essere vantaggioso includere investimenti in Paesi emergenti nel proprio portafoglio.

In primis, questi Paesi offrono infatti un potenziale di crescita economica superiore rispetto ai Paesi sviluppati, grazie alla presenza di mercati in espansione e all’aumento del potere d’acquisto della classe media. Come sappiamo, l’andamento dei mercati azionari è fortemente correlato, nel medio-lungo periodo, con l’andamento dell’economia misurato attraverso il PIL. In secondo luogo, molti Paesi emergenti dispongono di risorse naturali importanti, come petrolio, gas e minerali, che possono rappresentare una fonte di reddito a lungo termine per gli investitori, anche se la dipendenza dalle materie prime può portare ad una forte volatilità del valore delle esportazioni. Secondo il report 2021 dell’UNCTAD, organizzazione dell’ONU per il commercio globale, l’Africa è il continente maggiormente dipendente dall’export di materie prime, mentre l’Europa risulta la meno dipendente dal commercio di commodities.

In Africa, in riferimento al periodo 2018-2019, su 54 Paesi ben 45 erano dipendenti fortemente dalle esportazioni di commodities. Ad esempio, le materie prime valevano circa il 60% dell’export per il Sud Africa e più dell’80% per Botswana e Namibia. Proprio il Sud Africa, la maggiore economia del continente africano, fa parte di molti indici dei mercati emergenti, avendo un mercato azionario fortemente sviluppato con un valore complessivo (free-float) di circa $250 miliardi.

Come detto, la dipendenza dalle commodities può rappresentare un elemento di forte volatilità, come si vede dalla relazione molto stretta tra l’andamento del PIL sudafricano e il prezzo alla produzione dell’oro e dei minerali annessi.

Un altro beneficio dell’investimento in Paesi emergenti può essere rappresentato dalla diversificazione. Sebbene la correlazione con i mercati azionari sviluppati sia positiva, la presenza di azioni dei mercati emergenti può portare benefici in termini di diversificazione per il portafoglio in vari periodi. Come si può vedere nel grafico, la correlazione tra l’azionario emergente e quello dei Paesi sviluppati è passata da una media di 0,65 dal 2005 al 2014 ad una media di 0,50 dal 2014 al 2022. Inoltre, il beneficio in termini di diversificazione si può anche ottenere con le obbligazioni emergenti.

Investire nei Paesi emergenti comporta però un grande rischio: il rischio valutario. Immaginiamo di avere un investitore statunitense che decide di acquistare azioni o obbligazioni di un’impresa situata in Brasile. Supponiamo inoltre che la valuta di riferimento sia il dollaro USA. Se il valore del real brasiliano (la valuta brasiliana) oscilla in senso avverso per l’investitore, questo può causare forti perdite nella valuta di riferimento.

Per ovviare a questo rischio è possibile acquistare strumenti finanziari dotati di Hedging, ossia di copertura del rischio di cambio. Tuttavia, questa strategia può essere svantaggiosa perché la copertura del rischio valutario ha un costo (che nel caso degli ETF si traduce in un TER, ossia costo annuo, maggiore), il quale va ad erodere le performance anche in maniera significativa nel medio-lungo periodo.

Come investire in Paesi emergenti?

Investire nei mercati azionari dei Paesi emergenti è una scelta che può portare grandi opportunità di guadagno ma anche grandi rischi.

Gli indici MSCI Emerging Markets e S&P Emerging Markets sono due tra i più noti e utilizzati dagli investitori. L’indice MSCI Emerging Markets USD (quotato in dollari ma disponibile anche in altre valute) è un indice ponderato per la capitalizzazione di mercato che comprende 24 Paesi emergenti, tra cui Cina, Thailandia, India, Corea del Sud e Brasile.

Nel grafico vediamo l’andamento di questo indice rispetto all’MSCI World (indice dei paesi sviluppati) e MSCI ACWI (che contiene tutti i Paesi). Il rendimento è stato inferiore in questo periodo dal 2008 al 2023, ma allargando l’orizzonte temporale al 2001, l’indice dei mercati emergenti ha reso un 7,79% annualizzato rispetto 5,74% di quelli sviluppati. Naturalmente non possiamo sapere cosa accadrà in futuro, ma è possibile che in molti anni l’indice dei Paesi emergenti potrà sovraperformare l’MSCI World.

E le obbligazioni?

Le obbligazioni dei Paesi emergenti possono offrire rendimenti nominali più elevati rispetto a quelle dei Paesi sviluppati. Questo perché, generalmente, i bond societari e governativi di Paesi come USA o Germania sono considerati più sicuri rispetto a quelli messicani o brasiliani.

Dunque, tali bond possono offrire rendimenti attraenti per un investitore. Tuttavia, anche in questo caso bisogna tenere a mente il rischio di cambio presente se le obbligazioni sono emesse in valuta locale, che può avere effetti molto importanti sul valore finale dell’investimento. Oltre a questo, può accadere che i titoli di Paesi emergenti siano meno liquidi di quelli sviluppati, presentando dunque uno spread maggiore (quindi un prezzo più alto), oltre ad una maggiore volatilità.

Fonti:

  • AdviserVoice
  • MSCI
  • S&P Global
  • Yahoo Finance
  • UNCTAD

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Nota bene: lo scopo dell’articolo è esclusivamente didattico ed esso non deve intendersi come la promozione di un particolare investimento. Tutti i marchi citati sono dei relativi proprietari.