Investimenti

Il Mercato Azionario della Cina: opportunità e rischi

28 maggio 2022

La crescita dell'economia cinese

“Non importa di che colore sia il gatto, finchè catturerà i topi, sarà un buon gatto”.

La frase è stata pronunciata da Deng Xiaoping, ex leader della Repubblica Popolare Cinese, e ha dato inizio, dal 1978, a delle nuove riforme, basate su alcuni dei più importanti pilastri del capitalismo e dei mercati occidentali. La Cina è diffusamente considerata un Paese comunista, ma è davvero così? Osservando i principi alla base della Cina e del capitalismo statunitense, si nota come entrambe siano dirette ad un unico obiettivo: aumentare la ricchezza della propria nazione.

Ed è quello che è successo in Cina negli ultimi decenni. Sono in molti a considerarla un vero e proprio miracolo economico: il reddito pro-capite è aumentato di circa 26 volte dagli anni ’90, il tasso di povertà è diminuito dall’88% a meno dell’1% e l’aspettativa di vita è aumentata di dieci anni.

La Cina è oggi la seconda economia più grande al mondo dopo gli Stati Uniti in termini di PIL nominale, con ben 114.000 miliardi di yuan (18.000 miliardi di dollari) ma è la prima se si considera il PIL PPP (PPP=Purchasing Power Parity), come si nota dal grafico successivo.

Nel 2021 la crescita dell’economia del Paese ha superato gli obiettivi del governo (al 6%), con crescita complessiva dell’8,1%. Sulla scia del precedente leader, Xi Jinping ha realizzato numerose riforme volte ad incrementare l’importanza dei mercati azionari in Cina, e ovviamente dell’economia cinese nel panorama internazionale. Il PIL cinese rappresenta infatti il 51% del PIL totale dei mercati emergenti, e il 18% su scala globale.

Cina e Stati Uniti sono ovviamente dei Paesi diversi, in particolare nella struttura del potere e nel forte controllo del governo cinese sulla vita dei propri cittadini. È importante precisare come la Cina sia un Paese che fa dell’innovazione uno degli aspetti di maggior rilievo della propria crescita economica. Negli ultimi anni ha superato Stati Uniti e Giappone in termini di brevetti depositati, diventando la prima nazione al mondo.

L’obiettivo principale del Dragone asiatico non è solo quello di incrementare la propria ricchezza ma anche di distribuirla in maniera equa ai propri cittadini. Si parla in tal caso di prosperità comune, un concetto molto citato nei piani quinquennali seguiti dal governo e dal sistema economico cinese. Il 14esimo Five Year Plans (FYP) presenta infatti, quattro finalità da raggiungere entro il 2025, tra cui la prosperità comune: espandere la domanda domestica, migliorare l’auto-sufficienza tecnologica, proteggere l’ambiente.

I mercati azionari in Cina: overview

I mercati azionari rappresentano l’emblema di un sistema capitalista, eppure negli ultimi decenni hanno riscontrato una forte diffusione in Cina, attraendo capitali e investitori da tutto il mondo. Basti pensare che negli ultimi sei anni, il numero di investitori stranieri che possiedono azioni cinesi è aumentato significativamente: in termini % sulla capitalizzazione domestica (es. USA), si è passati dall’1% a circa il 6%. Il mercato azionario cinese vale oggi il 13% di quello globale, e ben il 49% di quello dei Paesi emergenti. Investire nei mercati asiatici significa esporsi relativamente molto alla Cina. La correlazione tra l’indice MSCI China e l’indice MSCI EM (Emerging Markets) è pari a 0,87 (più il valore è vicino ad uno più i mercati sono correlati).

Le azioni sono scambiate in tre mercati principali:

  • Borsa di Shanghai, la più grande del Paese per capitalizzazione e la terza più grande al mondo.
  • Borsa di Shenzhen.
  • Borsa di Hong Kong.

La Borsa di Shanghai e quella di Shenzhen presentano una capitalizzazione complessiva di circa 15.000 miliardi di dollari, quasi un terzo rispetto a quella del NYSE e del NASDAQ insieme, e maggiore di quella della Borsa giapponese pari a 6.500 miliardi di dollari. La Borsa di Hong Kong presenta invece una market cap pari a 5,4 miliardi. La maggior parte delle azioni scambiate sulla Borsa di Hong Kong sono di proprietà di investitori istituzionali.

Nel grafico si osserva l’andamento del mercato azionario cinese e statunitense (in migliaia di miliardi), negli ultimi 22 anni. Si nota la forte discrepanza di crescita, anche se dal 2018, i mercati di Shanghai e di Shenzhen sembrano crescere a ritmi più sostenuti rispetto ai livelli precedenti.

A novembre 2021, è stata istituita anche una nuova Borsa valori a Pechino, con l’intento di aiutare maggiormente le piccole e medie imprese.

Le azioni cinesi possono essere in gran parte suddivise in onshore e offshore: le azioni onshore includono titoli quotati alla borsa continentale di Shanghai o Shenzhen, mentre le loro controparti offshore sono quotate a Hong Kong, negli Stati Uniti o in altre borse estere.

A differenza degli Stati Uniti, solo il 7% della popolazione adulta cinese investe nei mercati azionari. Negli USA, invece, la situazione è ben diversa, con il 55% del totale (in lieve calo rispetto al picco della bolla immobiliare, 65%). Il fatto che la maggior parte delle azioni in Cina siano scambiate da pochi grandi investitori (si stima l’80%), potrebbe rendere il mercato più volatile. Meno del 20% della ricchezza delle famiglie è investita in titoli azionari, preferendo allocare prevalentemente il proprio capitale nel mercato immobiliare.

Una buona parte dei titoli scambiati sulla Borsa di Shanghai è relativa al settore finanziario e al real estate, seguono l’industria, i materiali e i beni di prima necessità, con molte società impegnate nel settore consumer che hanno deciso di quotarsi in Borsa negli ultimi sei anni.

Quello finanziario è il settore più grande della Cina, con circa 7.000 miliardi di capitalizzazione di mercato complessiva. Il settore prende vita negli anni ’80: vennero create le cosiddette big four (banche statali), sotto la stretta supervisione della People’s Bank of China (PBOC). Queste sono ICBC, Bank of China, Bank of Communications e Agricultural Bank of China. Oggi, sebbene, le big four dominino ancora, il mercato è cresciuto esponenzialmente, con la nascita di numerose istituzioni bancarie sia private che pubbliche.

Per quanto riguarda il mercato immobiliare, la Cina ha riscontrato negli ultimi anni una forte impennata del valore degli investimenti nel real estate ad uso residenziale: a differenza della contrazione avvenuta negli Stati Uniti nel 2007, a seguito dello scoppio della bolla immobiliare, la Cina ha continuato a crescere. Lo si può osservare nel grafico seguente.

Le prime società per capitalizzazione della Borsa di Shanghai sono Kwichow Moutai, impegnata nel settore beverage, ICBC, banca d’investimento e servizi finanziari e China Merchants Bank. La quasi totalità delle prime dieci posizioni sono occupate da banche.

Sulla Borsa di Hong Kong sono invece quotate società molto note agli investitori e al centro di numerose controversie negli ultimi anni per via delle politiche poco accomodanti elargite dal governo cinese. Diverse di queste sono (o erano) quotate anche negli Stati Uniti, o in altre Borse internazionali. Basti pensare ad Alibaba, Xiaomi, Lenovo, Meituan, JD.com, Tencent. Tra le società più grandi della Borsa di Shenzen si posiziona invece CATL, società specializzata nella produzione di batterie agli ioni di litio. Nel grafico successivo si può osservare la crescita del fatturato e dell’utile netto di Alibaba e il confronto tra l’andamento degli Earnings-per-share della società e il suo prezzo azionario.

Nella tabella, invece, le prime dieci società cinesi per capitalizzazione, in miliardi di dollari.

Molte società cinesi hanno deciso anche di “quotarsi” negli Stati Uniti, attraverso gli ADR (American Depository Receipts), titoli azionari creati appositamente per semplificare gli investimenti esteri da parte degli investitori americani. Ci sono oggi 281 società cinesi quota in USA, con un valore di mercato complessivo pari a circa 1.000 miliardi di dollari (il 26% in meno rispetto al 2021).

Alcuni degli indici che replicano le Borse della Cina sono lo Shanghai Stock Exchange Composite Index, lo SZSE Component Index e l’Hang Seng Index che segue l’andamento della Borsa di HK. Un ulteriore indice significativo, considerato come un indice blue chip per le Borse della Cina continentale, è il CSI 300 Index, un indice ponderato per la capitalizzazione progettato per replicare la performance dei primi 300 titoli quotati alla Borsa di Shanghai e alla Borsa di Shenzhen. Come si nota dal grafico seguente, il settore finanziario è quello prevalente nell’Hang Seng Index e nel CSI 300, a differenza dello S&P 500, l’indice più rappresentativo del mercato azionario USA, nel quale il settore tecnologico fa da padrone (27% della capitalizzazione totale).

Nel grafico si osserva, invece, il confronto tra lo SSE Composite Index e lo S&P 500 negli ultimi cinque anni. L’indice cinese ha reso solo l’1,23% rispetto al 61% circa dell’indice americano.

È noto come il governo cinese attui una politica di forte controllo sulla propria economia e in molti settori strategici. Basti pensare che il 100% delle partecipazioni delle imprese operanti nei settori della comunicazione, dell’energia, e dei servizi di pubblica utilità sono di proprietà statale, con una buona quota, maggiore dell’80% nel settore finanziario e nel mercato immobiliare.

Mentre, solo il 29% delle imprese tecnologiche cinesi è sotto il totale controllo del governo. Questo rende più chiaro le dispute degli ultimi anni tra la RPC e molte società tech.

La Cina: un'opportunità per i propri investimenti?

Non esiste un unico portafoglio d’investimento adatto a tutti. Ognuno ha le proprie esigenze e i propri obiettivi di vita, quindi una diversa tolleranza al rischio e rendimenti attesi differenti. Negli ultimi decenni, in ogni caso, la maggior parte degli investitori ha considerato come base dalla quale costruire il proprio portafoglio il mercato azionario statunitense, in particolare il settore tecnologico, generando una poderosa crescita dei listini americani, soprattutto in seguito all’inizio della pandemia da Covid-19.

Perché? Gli Stati Uniti rappresentano, ormai da anni, il fulcro principale dell’economia mondiale e il centro tecnologico per eccellenza. Un’economia in crescita, utili aziendali, soprattutto delle big tech, sempre in aumento e un sentiment diffuso nuovamente positivo dopo lo scoppio della bolla dot-com e immobiliare, rispettivamente nei primi anni 2000 e nel 2007, hanno reso gli Stati Uniti un paese ideale in cui investire i propri capitali. Dal 2009 ad oggi l’indice Standard & Poor 500 è aumentato del 430% circa. Tuttavia, il passato non è spesso sinonimo di ciò che potrebbe accadere in futuro e nel contempo, la storia ci insegna che il potere di un Paese, così come i sistemi economici, seguono un ciclo non ben definito temporalmente. La Cina al contrario è storicamente considerata un Paese in cui investire comporta un elevato grado di rischio, soprattutto a causa delle poco convenzionali (per noi occidentali) politiche e controlli attuati dal governo.

Tuttavia, tralasciando l’esercizio del potere, e considerando unicamente i numeri, o meglio l’economia, e la sua forte crescita passata e stimata (perché sì, molto probabilmente la Cina sarà la prima potenza al mondo entro la fine degli anni ’20) è ancora corretto considerare il Dragone un Paese rischioso per i portafogli degli investitori? Non solo la crescita economica, in particolare gli utili aziendali in forte aumento, potrebbe rendere appetibile la Cina alle proprie strategie d’investimento, ma anche e soprattutto le basse valutazioni di mercato di molti settori e società, relativamente, ad esempio, al mercato azionario statunitense. Un investitore consapevole dovrebbe chiedersi: se la Cina è rischiosa, perché non potrebbero esserlo anche gli Stati Uniti?

D’altronde, che grado di rischio hanno associato analisti ed investitori agli Stati Uniti durante il forte rally rialzista del 2021? O peggio prima dello scoppio della bolla immobiliare nel 2007? Molto basso si potrebbe dire.

Eppure, studiando bene la macroeconomia, gli eventi, e la storia (su larga scala), un investitore consapevole avrebbe dovuto in qualche modo prevedere un’inflazione da record (un nuovo paradigma economico), sinonimo di una possibile recessione, e che sta spingendo decisamente giù i listini americani da inizio 2022, dopo una crescita troppo “pompata”.

Certo, la guerra (forse) era imprevedibile. Ma questo dovrebbe far capire ad un investitore intelligente che il rischio di vedere bruciare il proprio capitale è ovunque, non solo in Cina.

Cosa dovrebbe fare allora? La risposta è semplice, diversificare in maniera efficiente ed efficace, cogliendo anche le grandi e proficue opportunità di crescita del Paese asiatico, attuando in tal caso una diversificazione geografica. Esistono molti modi per diversificare il proprio portafoglio; l’importante è che la correlazione tra i Paesi, le asset class, i settori e le società scelte sia bassa, prossima allo 0 (o negativa) e che ovviamente si abbia un’ottica di lungo periodo. Investire in Cina significa diversificare, senza sovraesporsi unicamente al mercato statunitense, come spesso accade per il portafoglio convenzionale di tanti piccoli investitori. Un altro punto a favore della Cina potrebbe essere quello di una maggiore capacità delle autorità nell’affrontare la politica monetaria e fiscale rispetto agli Stati Uniti. La Cina è, inoltre, decisamente avanti rispetto a molti Paesi nelle nuove tecnologie, in particolare nel fintech e nell’intelligenza artificiale. Osservando la bassa percentuale del settore tech sulla capitalizzazione complessiva di alcuni indici cinesi, come scritto in precedenza, si nota come le potenzialità di crescita di questo settore siano decisamente ampie.

La Cina è comunque quasi come un Paese Emergente dal punto di vista del mercato azionario e della regolamentazione, essendo il mercato molto “fresco”. Infatti, non presenta un sistema normativo così sviluppato.

Il Paese asiatico ha come obiettivo quello di distribuire più denaro possibile a chi ne necessita, ma si concentra molto anche nell’evitare e nel prevenire eccessi di debito ai cittadini. Un approccio più equilibrato e diverso rispetto agli Stati Uniti, dove si registrano forti speculazioni nei mercati azionari, con denaro preso a prestito.

Considerando l’indice MSCI China, il suo Price-to-book value (un multiplo che rapporta il prezzo delle azioni con il valore contabile delle società) è pari, ad aprile 2022, a 1,5x (vs. 2.0x medio su 20 anni), mentre il P/B dell’S&P 500 è uguale a 3,94x (dopo il picco di circa 5x a novembre). Per farsi un’ulteriore idea della sottovalutazione delle società cinesi si può osservare il Price-to-earnings dell’indice MSCI China rispetto all’S&P 500. Dal grafico si nota come da inizio 2021 le società cinesi siano diventate ancora più economiche rispetto a quelle statunitensi, in particolare quelle tecnologiche.

Il Forward P/E ratio attuale del settore dell’Information Technology in Cina è invece di circa 10x, più basso rispetto alla sua media degli ultimi 15 anni, di circa 23x. È il settore cinese più sottovalutato, in questi termini. Tra i settori con bassi Forward P/E rispetto a quello medio si possono elencare quello finanziario e industriale. Mentre, tra i settori in cui si stima una crescita degli EPS (utile per azione) maggiore nel prossimo anno rispetto al 2022, secondo JPMorgan Chase, vi sono quello dei beni di prima necessità (+28%), discrezionali (+41%), sanitario (+47%) e della comunicazione (+25%).

Infine, è utile osservare il confronto tra il CAPE ratio degli Stati Uniti, della Cina e dell’Europa. Si tratta di un multiplo, anche conosciuto come Shiller P/E, ed è l’acronimo di Cyclically-Adjusted Price-to-Earnings Ratio. Rappresenta il rapporto tra il prezzo delle azioni di una società, o di un paniere, e la media degli utili per azione degli ultimi dieci anni, rettificato per l’inflazione. In questo modo si vuole minimizzare l’impatto del ciclo economico (es. crescita economica, recessione) sugli utili aziendali, quindi la loro volatilità (le fluttuazioni). Utilizzando il prezzo, ci si può fare un’idea della sopravvalutazione o della sottovalutazione di una società, o in tal caso di un intero mercato. Il P/E Shiller medio storico dello S&P 500 è di circa 15-16, mentre attualmente (a maggio 2022) è di circa 30, indicando quindi una sopravvalutazione del mercato azionario statunitense, anche in seguito alla recente contrazione dei listini americani. Il CAPE ratio del mercato cinese è invece pari a 12,70. Il P/E ratio attuale degli USA è tuttavia vicino alla sua media storica.

È possibile investire nel mercato azionario cinese attraverso ETF, ossia fondi passivi a basso costo negoziati nei mercati come le azioni. Alcuni di questi, di grandi dimensioni, attivi da più di cinque anni, e molto liquidi (dimensione del fondo grande) sono:

  • iShares MSCI China A UCITS ETF
  • HSBC MSCI China UCITS ETF USD

Gli ETF presentano un TER, rispettivamente dello 0,30% e dello 0,40%.

Ricapitolando, un investitore consapevole dovrebbe considerare le grandi opportunità di crescita della Cina, in un’ottica di lungo periodo, con l’obiettivo di diversificare maggiormente il proprio portafoglio, quindi di ridurre il rischio di perdite (e potenzialmente generare rendimenti attesi più alti, a causa di una sottovalutazione attuale del mercato). Minore è la correlazione, meglio è! Nella tabella  di seguito alcuni indici di correlazione tra il mercato azionario cinese e il resto del mondo.

Nel grafico seguente invece è indicata una frontiera efficiente costruita inserendo solo due indici, l’MSCI All Country World e China A-shares. All’aumentare dell’esposizione alla Cina, aumenta il rischio, in termini di volatilità, ma aumenta anche il ritorno annualizzato atteso.

 

Per quanto riguarda alcuni rischi, soprattutto di breve periodo, è fondamentale precisare che una buona parte delle normative vigenti in Cina in merito alla contabilità aziendale sono diverse rispetto, ad esempio, agli Stati Uniti. Gli standard contabili cinesi differiscono dai principi contabili generalmente accettati negli USA (GAAP). Tuttavia, le società quotate cinesi devono rispettare numerosi limiti e ferree regole. Bisogna comunque ricordare che i mercati azionari in Cina sono ancora molto giovani, non proprio addentrati nella cultura popolare cinese, e che quindi le potenzialità di miglioramento e di crescita sono ampie se si considera un periodo di tempo molto ampio (es. 20-30 anni). Per comprendere quanto sia rischioso investire in Cina è necessario chiedersi anche quanto sia sostenibile la crescita economica del Paese nel lungo termine e quali saranno gli effetti del suo non poco elevato debito estero, oltre che si tratta pur sempre di un Paese strutturalmente e culturalmente molto diverso da quelli occidentali.

L’articolo e i riferimenti presenti non vogliono in alcun modo essere un consiglio d’investimento, investire comporta dei rischi ed è un’attività basata sugli obiettivi e le esigenze di ogni individuo.

Fonti:

  • Guide to China (2Q 2022), JP Morgan Chase
  • Bridgewater Associates
  • Nella Mente dei Migliori, Nabila Finanza
  • Google Stock
  • Investopedia
  • Our World in Data
  • Barclays

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