Economia

La guerra in Ucraina: energia e sanzioni, dove arriveremo?

16 aprile 2022

L’inizio della guerra

Il 24 febbraio 2022 la Federazione Russa ha dato inizio ad una brutale invasione dell’Ucraina con il vergognoso pretesto di “demilitarizzare e denazificare” la regione.  Il risultato dei primi 45 giorni di conflitto nel Paese già martoriato dalla Guerra in Donbass è devastante: milioni di civili fuggiti dalle loro case, migliaia di morti trovati nelle peggiori condizioni e intere città distrutte, come Mariupol, città di oltre 400.000 abitanti, o Severodonetsk.

La violenza delle truppe della Federazione Russa non è un caso o un incidente: secondo l’intelligence britannica si tratta di una vera e propria policy di guerra putiniana.

Perché la Federazione Russa ha invaso l’Ucraina?

Fondamentale è capire che Putin non accetta una nazione di 44 milioni di persone libera, democratica e occidentalizzata vicino ai suoi confini o a quelli della sua Bielorussia. Putin non vuole assolutamente che il profumo della libertà e del capitalismo arrivino alla sua popolazione, soprattutto a quella rurale, più povera, quella da cui vengono i soldati scioccati di trovare un iPhone o un pc nelle case devastate dei cittadini ucraini.

Se la Federazione Russa conquisterà o controllerà l’Ucraina, allora sarà l’Unione Europea a diventare il “vicino scomodo”. La questione geopolitica, poi, riguarda la NATO – e quindi gli USA – e non solo l’Unione Europea. Se da un lato è evidente che l’egemonia liberale ha dei limiti, è anche vero che l’Occidente non può rimanere a guardare le atrocità dei russi ai propri confini senza provare a risolvere la situazione con sanzioni più forti.

Se compriamo il gas e il petrolio russi, stiamo letteralmente finanziando la Federazione Russa con più soldi di quanti stiamo dando all’Ucraina per difendersi. Decine di volte di più.

Le sanzioni occidentali sono iniziate già poche ore dopo l’invasione e si sono estese con vari pacchetti sanzionatori, ma si sono inasprite ulteriormente dopo che le foto e i video del massacro di Bucha, piccola cittadina vicino Kyiv, hanno scosso le coscienze di milioni di persone in tutto il mondo. Ad aprile, oltre 600 società private multinazionali hanno abbandonato la Federazione Russa in ogni settore, dai produttori microchip alle catene di ristorazione. Tuttavia, molte – tra cui le italiane Calzedonia, Menarini e UniCredit – restano.

Civili legati, gambizzati, uccisi e gettati nella spazzatura non sono le peggiori immagini arrivate in Occidente da Bucha e altre cittadine. Fonti ucraine – ma anche polacche e di altri Paesi – parlano di stupri di massa documentati su anziani, donne, uomini, bambini e neonati e di deportazioni forzate con tanto di emissione di passaporti russi per migliaia di cittadini ucraini.

Naturalmente, la macchina propagandistica russa si è mossa in fretta, anzi in anticipo, per cercare di nascondere i crimini di guerra del suo esercito o per attribuirli alle forze armate ucraine. Sui pochi siti di informazione governative russa rimasti disponibili sul web occidentale è possibile leggere le notizie false sulla “operazione militare in Ucraina” e si sente l’assordante silenzio della mancanza di notizie sui massacri civili o sulle stesse perdite dell’esercito russo, che ammonterebbero a circa 20.000 unità, secondo fonti ucraine.

La brutalità della guerra ha inasprito le sanzioni dell’UE e dei partner NATO alla Federazione Russa: in particolare, si è deciso uno stop delle importazioni di carbone con un effetto potenziale di €4-8 miliardi che si aggiunge ad un altro nuovo pacchetto del valore di oltre €5 miliardi riguardante stop alle importazioni di legno, prodotti in gomma, liquori – vodka inclusa – e caviale.

Questo si aggiunge ai precedenti pacchetti con sanzioni per individui legati al Cremlino, banche russe, società e diplomatici.

La dipendenza energetica

In questo contesto, la dipendenza energetica europea dalla Federazione Russa non è più soltanto una questione economica e industriale, ma geopolitica ed etica. In passato, decisioni discutibili dei vari governi italiani e delle altre Nazioni europee hanno portato ad un “risveglio tardivo” nei confronti dell’energia pulita e al formarsi di un legame saldo e duraturo con l’energia russa.

Inoltre, come sottolineato da Mario Draghi, è importante ricordare che la domanda di energia viene gestita da ogni Stato per conto proprio; dunque, non viene realmente sfruttato il potenziale potere d’acquisto vantaggioso che potrebbe avere l’UE agendo come un’unica entità nel comprare energia.

Quanto siamo dipendenti dall’energia russa?

La risposta è complessa perché occorre definire il “chi”. L’Unione Europea è infatti estesa e frammentata: è chiaro che i Paesi più vicini geograficamente alla Federazione Russa – come i Paesi Baltici, Polonia, Ucraina, Germania o Ungheria – hanno sviluppato una dipendenza maggiore, al contrario ad esempio dei più distanti Spagna e Portogallo.

In questo grafico, elaborato da ISPI, è indicato l’indice di vulnerabilità dei vari Paesi europei ad un’interruzione del gas russo.

In ogni caso, l’energia russa è stata vitale negli ultimi anni per tutta la macchina economica europea, soprattutto quella della Germania. Proprio il Governo di Berlino ha deciso negli ultimi giorni ha attivato il suo “Energy Emergency Plan” nel caso la Federazione Russa decidesse, da parte sua, di fermare l’invio di gas.  Questa decisione segue quella di fermare la prosecuzione dell’ormai pronto gasdotto North Stream 2 da €10 miliardi.

Nel 2019, dati della Commissione Europea e di Eurostato mostrano che la domanda di energia dell’Unione Europea è stata soddisfatta dalla Federazione Russa per il 47% per il carbone, 27% per il petrolio (25,5% nel 2020) e circa per il 41% per quanto riguarda il gas naturale (44% nel 2020). Secondo IEA, l’Unione Europea ha importato 155 miliardi di metri cubi di gas russo nel 2021 e oltre 800 milioni di barili di petrolio.

Ecco un grafico di DW che indica quali sono i Paesi più dipendenti dal gas naturale e altre forme di gas russo. Giova però ricordare che questi sono dati relativi: naturalmente, economie grandi come Germania o Italia contano di più per la Federazione Russa e avranno maggiori difficoltà a gestire un’eventuale sostituzione del gas russo.

Il nostro Paese, ai primi post come si vede nel grafico, importa quasi tutta l’energia che consuma, e il 38% del gas importato è proprio di provenienza russa, peraltro in forte aumento rispetto al 30% registrato nel 2012. Gli altri Paesi da cui importiamo gas sono l’Algeria (29%), Azerbaigian (10%) e Libia (4%).

La guerra, per ora, non ha fermato gli acquisti. Al 21 marzo l’Unione Europea aveva già acquistato oltre €17 miliardi di gas, petrolio e carbone russi dall’inizio dell’invasione, per arrivare a oltre €35 miliardi nei primi giorni di aprile, secondo il Commissario Josep Borrell. Nel 2020 e 2021 tali esportazioni russe di gas all’Europa hanno pesato rispettivamente per l’1,50% e il 2,50% del PIL russo. Dal lato europeo, le interruzioni causate da shock di offerta di gas, secondo stime della Banca Centrale Europea, ammonterebbero ad un meno 0,7% di PIL per un razionamento delle forniture del 10%.

Grazie a questo potere contrattuale, la Federazione Russa ha utilizzato le forniture di gas per “ricattare” – verbo utilizzato dal Ministro degli Affari Esteri italiano ma prontamente rigettato da ufficiali russi – l’Unione Europea. A inizio febbraio 2022, la Federazione Russa aveva ridotto del 40% le forniture di gas all’Europa rispetto all’anno precedente. Già nella seconda metà del 2021, le riserve UE di gas erano scese sotto i livelli minimi del periodo relativo agli ultimi 5 anni: un ulteriore segnale della pressione russa – e dell’aumento dei consumi della ripresa post-coronavirus – che indica la debolezza dell’UE su questo piano.

Vediamo nel grafico i livelli di stoccaggio del gas dell’UE, pari alla somma di quelli dei singoli Paesi. Quest’anno i livelli sono significativamente più bassi rispetto al 2021 e anche rispetto al 2019, l’ultimo anno pre-pandemico. L’Unione ha deciso dunque di stabilire una soglia minima delle riserve nazionali pari all’80% da implementare entro i 1° novembre 2022 e del 90% per gli anni successivi.

La dipendenza europea dall’energia russa è molto forte, ma essa è anche una dipendenza russa dai soldi europei. Dipendenza che va direttamente a finanziare la macchina bellica russa che sta distruggendo le città e le vite degli ucraini e che minaccia la tanto amata sicurezza del nostro continente.

Ci domandiamo, giustamente, quale sia l’impatto del gas russo sulla nostra economia: esso è forte, ma sottovalutiamo il possibile impatto sull’economia russa di uno stop totale alle esportazioni energetiche verso l’UE insieme ad altri pacchetti di sanzioni.

Così come sostituire l’energia russa è difficile per l’UE, lo è altrettanto per la Federazione Russa cercare nuovi acquirenti, nonostante la “rinnovata amicizia” con Cina e India.

Un ulteriore stop alle esportazioni di energia dalla Federazione Russa all’Unione provocherebbe un enorme danno al bilancio del Cremlino, aumentando la pressione economica già inevitabilmente presente per le sanzioni.

Sostituire l'energia russa

In UE si sta iniziando a parlare sempre di più di una possibile uscita totale dalla dipendenza dall’energia russa. Da un lato, si tratta di un’operazione che richiede – oltre ad ingenti investimentimolto tempo per essere portata a termine, a causa della lunga durata di sviluppo dei progetti di trasporto energetico. Dall’altro lato, non si tratta di un obiettivo irraggiungibile se si pensa agli enormi vantaggi che potrebbe portare tale stop.

La Lituania, Paese vicino geograficamente alla Federazione Russa – un sandwich tra Kaliningrad e Bielorussia – e la cui economia è fortemente interconnessa con quella delle Repubbliche ex-URSS, ha coraggiosamente deciso di rinunciare a petrolio e gas russi. Il Presidente lituano Nauseda, nonostante la forte dipendenza del Paese, ha scelto di tagliare le forniture per cercare partner più affidabili, con la costruzione di un nuovo porto per LNGIndependence” e progetti energetici in comune con Polonia e altri Paesi Baltici.

Guardate amici, potete fare lo stesso ha affermato in un’intervista per MSNBC il Presidente riferendosi ai partner europei.

Per allontanare l’Europa dalla dipendenza russa vi sono molte possibili soluzioni. Ecco quattro possibili strade:

  • Energia pulita: generare energia da fonti rinnovabili ha costi elevati, ma la situazione in Ucraina deve accelerare la transizione green europea, un obiettivo dell’Unione già da prima del conflitto. Uno studio del Rhodium Group ha sottolineato come una possibile partnership con gli USA potrebbe accelerare lo sviluppo green dell’UE grazie a maggiori investimenti e ad un supporto finanziario diretto per carburanti sostenibili, idrogeno, batterie e molto altro. Oltre al supporto USA, l’Unione deve sforzarsi di più dal punto di vista finanziario imponendo regole più rigide ai singoli Stati.
  • Import da altri Paesi: il Ministro degli Affari Esteri italiano ha visitato vari Paesi dall’inizio del conflitto assieme al Presidente del Consiglio e agli alti dirigenti delle società energetiche italiane. Tra essi Qatar – secondo esportatore al mondo di LNG dopo all’Australia – Angola, Mozambico e Algeria – attualmente il maggior partner per il gas dell’Italia dopo la Federazione Russa, come abbiamo visto. L’Algeria, in particolare, esporterà in Italia 9 miliardi di metri cubi di gas in più con l’imponente gasdotto TransMed, che arriva in Sicilia all’impianto di Snam. Anche gli USA vogliono rafforzare la partnership energetica europea e hanno messo sul piatto 15 miliardi di metri cubi l’anno di gas per l’Italia e per l’Unione, che però rappresentano meno del 10% delle importazioni europee dalla Federazione Russa.
  • Minori consumi: utilizzando in maniera più responsabile lavatrice, lavastoviglie, computer, doccia, tv e controllo della temperatura della casa è possibile ridurre fortemente il consumo di elettricità e gas naturale. Secondo il Laboratorio Enea, il risparmio totale per le famiglie italiane con consumi più responsabili ammonterebbe a 5,8 miliardi di metri cubi di gas l’anno. Un risparmio enorme che porterebbe grandi benefici anche a livello ambientale.
  • Controllare il prezzo del gas: imporre un tetto al prezzo del gas è una soluzione proposta più volte da Mario Draghi, ma rigettata da vari Paesi europei, come l’Olanda, che non vogliono rischiare di perdere potere contrattuale, e di danneggiare la propria immagine creditizia, associandosi ad altri Paesi per acquistare. Un prezzo massimo (dunque ridotto anche per i contratti in vigore con la Federazione Russa) contribuirebbe ad un minore finanziamento della macchina bellica russa a parità di quantità acquistata.

Approvare sanzioni più forti ha un’efficacia incerta, naturalmente: nessuno sa esattamente come reagirà il Cremlino, ma questo non significa che non si debba tentare questa strada. Fermare il gas – e il più facilmente sostituibile petrolio – russo è un percorso che l’Unione Europea deve accelerare il prima possibile, senza interrompere la ricerca continua di soluzioni alternative.

L’Occidente non deve ignorare i massacri di civili e deve rimettere al centro il rispetto dei diritti umani nell’ottica di una stabilizzazione economica e sociale del nostro continente, impossibile senza una pace in Ucraina. Senza una rinuncia all’energia russa, dovremo fare comunque i conti con bollette più alte e pressioni inflazionistiche per beni essenziali come fertilizzanti o grano. Urge quindi diversificare in fretta le nostre forniture energetiche non solo per il bene dei cittadini ucraini, ma anche per il futuro dell’Unione. 

Fonti:

  • AGI
  • BCE Economic Bulletin 2022
  • Commissione Europea
  • Daniele Franchi (Foto)
  • DW
  • Fotoreserg
  • IEA
  • ISPI
  • S&P Global
  • Reuters (Foto)
  • TradingEconomics
  • Yale School of Management
  • WSJ

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