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Factor Investing: comprendere rischi e rendimenti del portafoglio

16 giugno 2022

Cos'è l'investimento fattoriale?

La costruzione di un portafoglio attraverso l’utilizzo dei fattori si basa sull’ipotesi di poter cogliere con uno o più strumenti finanziari il rendimento, e il rischio, determinati da una caratteristica comune a più titoli azionari o a reddito fisso.

Attraverso l’analisi quantitativa e statistica, quindi utilizzando una grande mole di dati, è possibile individuare una o più caratteristiche condivise da azioni appartenenti anche a settori diversi, o da asset class. La ricerca accademica vuole quindi associare ad un movimento in rialzo o in ribasso di alcuni prezzi azionari una causa, una spiegazione, o meglio un fattore.

Il Factor Investing (o anche smart beta) presuppone quindi una gestione attiva del portafoglio, attraverso la quale ci si espone a determinati fattori di rischio, con l’obiettivo di cogliere un premio per questo, e quindi un extra rendimento rispetto al mercato. Tutti gli investitori sono esposti a fattori che ne siano consapevoli o meno.

L’investimento fattoriale potrebbe consentire non solo di battere il mercato ma anche, e soprattutto, di diminuire il rischio complessivo del proprio portafoglio, diversificandolo maggiormente. Queste caratteristiche quantitative condivise da un insieme di titoli possono spiegare le differenze nei rendimenti tra l’insieme osservato e il mercato. Ciò rappresenta un problema per i manager dei fondi attivi tradizionali. Si è soliti infatti attribuire la capacità di battere il mercato alle loro abilità, ma in realtà, questa sembra essere più determinata dall’esposizione del portafoglio costruito a specifici fattori che in una determinata fase del ciclo economico hanno spinto a rialzo società contraddistinte da una caratteristica condivisa.

Prima di osservare nello specifico i fattori, è importante comprendere e tenere a mente che il rischio e il rendimento che si vuole spiegare affermando “è quel tipo di fattore che li ha determinati!” sono individuati e associati ad un paniere di azioni esclusivamente attraverso l’analisi statistica, o meglio con relazioni statisticamente significative. Questo potrebbe avere dei vantaggi, perché depura le decisioni d’investimento dal giudizio, spesso irrazionale, umano, ma anche degli svantaggi derivanti dall’assunto che ciò che è successo in passato non è sinonimo di ciò che avverrà in futuro, e che inoltre alcune variabili (fattori) potrebbero non essere inserite in un modello, rimanendo sconosciute. I contro, però, potrebbero essere gradualmente minimizzati, con il progresso tecnologico, in particolare dei Big Data e dell’Intelligenza Artificiale, “pane” dei moderni quantum investor.

Investire in fattori può aiutare a migliorare le performance del portafoglio, ridurre la volatilità e migliorare la diversificazione, ma ovviamente non sono adatti a tutti gli investitori. Ricordiamo che ognuno ha le proprie esigenze, obiettivi e soprattutto competenze.

Nel grafico la crescita degli investimenti fattoriali.

Per capire meglio l’investimento fattoriale è utile considerare un’analogia formulata da BlackRock. Essa fa riferimento a tutto ciò che l’organismo di una persona ha bisogno per sopravvivere: proteine, carboidrati, acqua etc. E ognuno di noi ne ha bisogno in quantità diversa per raggiungere i propri obiettivi di salute. Come avviene per il nostro corpo, anche per raggiungere i nostri obiettivi d’investimento, si potrebbero scegliere dei fattori specifici per esporsi ad un determinato rendimento e rischio capaci di soddisfare i nostri target.

Tipologie di fattori

Ci sono due tipi principali di fattori che possono spiegare i rendimenti di un paniere di attività: macroeconomici e di stile.

Si possono quindi raccogliere in gruppi di fattori. Nello specifico quelli macroeconomici (che influiscono sui rendimenti di tutte le asset class) sono: la crescita economica, l’inflazione, i tassi d’interesse, il credito, la liquidità, i mercati emergenti. Mentre quelli di stile (che influiscono sui rendimenti all’interno delle classi di attività): il valore, la qualità, la dimensione, la bassa volatilità, i dividendi e il momentum.

Come vedremo, ad ogni gruppo di fattori sono associati più fattori analitici. Ad esempio per il value si considerano alcuni multipli di mercato, tra cui il price-to-book value. Quindi l’extra rendimento rispetto al mercato in un determinato periodo di tempo, sarà spiegato dal fatto che si sta investendo in società considerate value, che riflettono quei fattori più analitici.

L’assunto è quindi quello che scegliendo di investire in strumenti fattoriali si coglie il rendimento generato, o meglio spiegato, da queste caratteristiche comuni a più titoli. In altre parole, permettono ad un investitore di avere più chiaro il rischio che si sta assumendo e di gestirlo in maniera attiva e precisa. Negli ultimi decenni si è quindi diffusa l’idea che puntare su alcuni di questi fattori potesse rilevarsi premiante.

Tuttavia, come vedremo, come per tutte le tipologie di investimenti, anche in tal caso è fondamentale considerare con estrema importanza l’arco temporale. Cogliere l’extra rendimento di un fattore rispetto al mercato significa avere un’ottica di lungo termine, in quanto il rendimento di un paniere caratterizzato da un solo fattore, dipende molto dalla fase del ciclo economico in cui ci si trova. Basti pensare ai titoli value, che dal 2010 al 2021 non hanno generato rendimenti sorprendenti, a differenza delle growth, e questa tendenza sembra ora volta a capovolgersi per via dell’attuale contesto economico. Ovviamente, ci sta sempre un motivo macroeconomico alle spalle, ma per un investitore comune scegliere il giusto timing potrebbe non essere molto semplice. I fattori performano in maniera diversa in base a dove ci si trova nel ciclo economico. Vi è una certa ciclicità tra gli stessi.

Prima di scoprire nel dettaglio alcuni dei fattori più importanti, è utile osservare come generalmente si associ il rendimento e il rischio di un titolo azionario nel lungo termine al c.d. rischio sistematico, quindi al rischio del mercato, al suo Beta. Nel corso degli ultimi 50 anni sono stati molti gli studi accademici che hanno cercato di spiegare meglio il perché un titolo potesse sovraperformare il mercato, e a quali rischi potesse essere più esposto rispetto ad altri, soprattutto in un’ottica di inefficienza dei mercati. Una prima ed essenziale svolta si ebbe con il modello a tre fattori di Fama e French nel 1992. Si tratta di un modello di asset pricing che amplia il modello CAPM aggiungendo altri due fattori: la dimensione delle imprese e il valore contabile. Secondo i due accademici, le value e le small caps hanno caratteristiche che possono spiegare rendimenti maggiori. Utilizzando migliaia di portafogli azionari casuali, Fama e French hanno scoperto che quando i fattori di dimensione e valore sono combinati con il fattore beta (di mercato), potrebbero spiegare fino al 95% del rendimento di un portafoglio azionario diversificato.

Nel corso degli ultimi anni sono stati aggiunti molti altri fattori che potrebbero spiegare il rendimento e il rischio rispetto al mercato. Tuttavia, sono stati testati centinaia di fattori, ma molti si sono poi rilevati inefficaci. Inoltre, qualsiasi rendimento medio aggiuntivo può essere attribuito a un rischio non valutato o non sistematico.

 Un fattore dovrebbe essere:

  • Persistente: deve essere continuo nel lungo termine.
  • Pervasivo: deve essere valido in vari paesi, regioni e settori.
  • Robusto alle alternative: non dovrebbe essere influenzato in presenza di leggere modifiche della caratteristica.
  • Efficiente: deve essere catturato in modo economicamente vantaggioso nei portafogli.
  • Sensibile

In questo senso, i fattori che vanno per la maggiore sono proprio quelli “fondamentali”, in virtù della loro capacità di spiegare le performance passate in maniera combinata a connotazioni economico-finanziarie più trasparenti.

Focus: cinque fattori di stile

Di seguito verranno indicati nello specifico cinque fattori, rientranti nella macrocategoria di stile.

Low Volatility: secondo molte analisi quantitative compiute, i titoli caratterizzati da volatilità più bassa generano rendimenti maggiori nel lungo termine rispetto a quelli con volatilità più elevata. Si vuole quindi catturare i rendimenti in eccesso per i titoli con un Beta e una Residual volatility inferiori alla media. Questo fattore ottiene storicamente risultati migliori durante i rallentamenti o le contrazioni economiche, ed è quindi considerato un fattore “difensivo”. L’obiettivo di un investitore potrebbe essere quello di gestire al meglio il rischio volatilità. Storicamente, secondo MSCI, gli indici che replicano questa strategia hanno mostrato effettivamente una minore volatilità e drawdown minori nella fasi negative del ciclo economico, e di conseguenza rendimenti migliori nel lungo termine rispetto ad azioni più volatili. Potrebbe essere un paradosso, in quanto si è soliti associare un premio più alto ad un rischio maggiore. In un’ottica di investimento tattica quindi si potrebbe diminuire il rischio durante ribassi del mercato, mantenendosi però ugualmente esposti all’azionario.

Value: il concetto alla base di questo fattore e sulla base degli studi empirici compiuti, è che la azioni a buon mercato, quindi quelle il cui prezzo azionario riflette maggiormente i fondamentali dell’azienda, che sia persino minore del valore intrinseco, sovraperformino le azioni più care, le growth, nel lungo termine. Gli indici MSCI value considerano il Forward P/E, l’Enterprise value/operating cash flow (EV(CFO) e il Price-to-book value (P/B). Si tratta quindi di selezionare quel paniere di titoli che presentano uno sconto di prezzo rispetto ai loro fondamentali, che quindi hanno un valore intrinseco maggiore rispetto al prezzo e che quindi verranno nel lungo termine riconosciute e premiate dal mercato, soprattutto nelle fasi di ripresa dell’economia. Tuttavia, sappiamo bene come negli ultimi anni abbiano sottoperformato le growth e il mercato, e che però visto l’andamento ciclico dei fattori potrebbero essere maggiormente preferite dagli investitori in questa fase di forte inflazione e recessiva, in quanto più “sicure” e consolidate, con una lunga storia di utili alle spalle. Gli investitori potrebbero quindi sceglierle quando è necessario puntare su società che generano profitti reali oggi e non futuri come accade per le growth.

Momentum: il fattore di slancio tenta di catturare i rendimenti in eccesso dei titoli con una performance positiva passata più forte. In altre parole, si scelgono quelle società che sono in un forte trend rialzista che continuerà a persistere ancora nel breve termine in quanto attrarrà gradualmente tanti altri investitori che non vorranno perdersi l’opportunità di entrare a mercato nel titolo, gonfiando ulteriormente il prezzo azionario. Gli investitori scelgono in tal caso i titoli in base alle loro performance nei 3-12 mesi precedenti, omettendo il mese più recente in modo di considerare gli effetti di un inversione a breve termine. Il fattore momentum è più efficace nei periodi di espansione economica e potrebbe essere una conseguenza delle inefficienze del mercato prodotte da reazioni ritardate dei prezzi a informazioni specifiche dell’impresa.

Quality: il fattore di qualità tenta di catturare i rendimenti in eccesso di azioni di società caratterizzate da basso debito, crescita stabile degli utili e da investimenti di valore, o meglio da modelli di business durevoli e con un vantaggio competitivo sostenibile. L’indice MSCI quality impiega tre variabili per catturare questo fattore: Return on equity (ROE), Debt to equity, Earnings variability. Questo fattore è considerato come “difensivo”, quindi utile durante i periodi di contrazione economica. Gli investitori infatti davanti ad una fase di ribassi e di recessione decidono di privilegiare società forti, di qualità a scapito di quelle che non producono ancora utili o che comunque non mostrano una certa stabilità. Per sopravvivere nella tempesta è sempre meglio affidarsi a società con “esperienza di navigazione”.

Size: questo fattore considera società di piccole dimensioni (small cap). Storicamente, secondo alcuni modelli statistici hanno sovraperformato quelle di grandi dimensioni nel lungo periodo. Scegliere società con una capitalizzazione relativamente piccola, e di buona qualità, significa esporsi a maggiori potenzialità di crescita rispetto ad una società già grande. Secondo MSCI, si tratta di un fattore che premia gli investitori nelle fasi di ripresa economica.

Nel grafico il confronto tra il rendimento e il rischio di questi fattori e il mercato azionario globale rappresentato dall’indice MSCI World.

Come scritto in precedenza nel corso del tempo sono stati formulati e testati tanti altri fattori. Molti di questi tuttavia, spesso rientravano in qualche modo in una di queste categorie, in quanto il fattore considerato può essere il risultato, ad esempio, del fattore qualità o value. Basti pensare ai criteri ESG. Molti investitori sono oggi orientati a scegliere strumenti fattoriali basati su questi criteri. Alcune ricerche hanno mostrato che le aziende con una minore intensità di emissioni di carbonio tendono ad essere caratterizzate da una maggiore redditività, produttività ed efficienza operativa, tutte indicazioni di una qualità superiore. Questi vantaggi potrebbero non derivare dal perché l’azienda adotta criteri ESG ma semplicemente perché le aziende che cercano di essere più efficienti nel modo in cui producono beni e servizi spesso cercano costi energetici inferiori e modi di produzione più efficienti dal punto di vista energetico. Questo ha un impatto rilevante sulla redditività e quindi sulla qualità, e potrebbero quindi essere inglobate nel fattore quality. In ogni caso, non bisogna sottovalutare la capacità dei fattori ESG di creare rendimenti sopra la media nel lungo termine, in quanto le prove empiriche potrebbero venire fuori proprio nei prossimi anni con l’auspicata transizione energetica a cui ancora non abbiamo assistito effettivamente.

Nel grafico le performance storiche di alcune strategie fattoriali rispetto al mercato globale (STOXX Global 1800).

Fattori a reddito fisso

Non solo molte ricerche empiriche hanno dimostrato che il rendimento e il rischio di un titolo azionario possono essere spiegati da specifiche caratteristiche, o meglio da fattori, ma che anche gli strumenti a reddito fisso, quali titoli obbligazionari, possano essere spiegati da questi, soprattutto da quelli macroeconomici (ricordiamo la distinzione tra questi e quelli di stile). Anche in tal caso, attraverso l’esposizione fattoriale vi è la possibilità di gestire e controllare al meglio il rischio sottostante ai titoli a reddito fisso. Tuttavia, la comprensione dei fattori relativi al reddito fisso è rimasta più indietro rispetto all’azionario, per vari motivi. Di conseguenza le potenzialità di adozione e di crescita degli strumenti fattoriali in questo campo sono ampie.

La ricerca accademica indica cinque principali fattori macro che potrebbero avere storicamente determinato i rendimenti dei titoli a reddito fisso: tassi d’interesse reali, inflazione, rischi di default, liquidità, rischio mercati emergenti. Nel grafico per ogni rendimento extra degli strumenti a reddito fisso sono indicati i fattori che hanno contribuito a questo rendimento.

Ci si può aspettare allora che la performance totale di un portafoglio di strumenti a reddito fisso sia in funzione di una miscela aggregata di una esposizione a più macrofattori. Gli investitori potrebbero quindi combinare più macrofattori per diminuire il rischio e aumentare la diversificazione, come per i fattori che caratterizzano l’azionario. Si ricorda che anche l’azionario è influenzato da fattori macroeconomici.

Un’implicazione chiave per la costruzione di un portafoglio, è che mentre un portafoglio comprendente numerose asset class a reddito fisso può apparire diversificato, in realtà il rischio e il rendimento possono derivare da pochi macrofattori. Si consideri ad esempio il Bloomberg Barclays U.S. Aggregate Bond, l’indice comprende oltre 10.000 titoli obbligazionari di sei diverse classi. Tuttavia, osservando l’indice attraverso i fattori, si comprende come questo ricavi l’80% dei suoi rendimenti dal rischio legato ai tassi d’interesse (Real Rates + Inflation). Il vantaggio dell’investimento fattoriale sta proprio nel poter scegliere con accuratezza degli strumenti, come ETF fattoriali, con esposizione macro, avendo già chiari quali sono i rischi inseriti in portafoglio, senza scegliere un insieme ampio e dettagliato di titoli obbligazionari di cui non si conosce e non si gestisce il rischio vero e proprio.

Nello specifico, il fattore/rischio dei tassi d’interesse ha mostrato la tendenza a generare rendimenti positivi in ambienti di contrazione economica, mentre il fattore credito mostra una tendenza positiva in contesti di elevata crescita economica. Questi due fattori sono stati storicamente correlati negativamente, il che li rende ideali per la costruzione di portafogli diversificati.

Investire in ETF fattoriali

Se un tempo costruire un portafoglio attivo era considerato decisamente più complicato e sensibile ad errori da parte dell’investitore, oggi attraverso l’uso degli ETF rappresenta un’attività decisamente più semplice e alla portata di tutti. Infatti, è possibile attuare una strategia di investimento fattoriale all’interno del proprio portafoglio con gli Exchange-Traded-Fund. Alcuni offerti da BlackRock sono:

  • iShares MSCI USA Min Vol Factor ETF
  • iShares MSCI USA Quality Factor ETF
  • iShares MSCI USA Value Factor ETF

Investendo in uno di questi ETF si sceglie un unico fattore di rischio/rendimento. Come scritto in precedenza i fattori presentano una certa ciclicità, e alcuni potrebbero far meglio in alcuni contesti economici che in altri. Acquistarli in una fase del ciclo sbagliata può causare delle profonde perdite se non si è predisposti ad avere un’ottica di lungo periodo. Infatti, secondo gli accademici, nel lungo termine si avrà la quasi certezza di ottenere quell’extra rendimento desiderato investendo in strumenti fattoriali. Tuttavia, esistono oggi ETF multi-fattoriali che combinano più fattori, ad esempio attraverso i cinque fattori di stile più importanti citati in precedenza. Storicamente alcuni fattori presentano una correlazione bassissima se non negativa. Tuttavia, la correlazione è dinamica e fattori non correlati potrebbero diventarlo in futuro. Inoltre, ad esempio, è possibile che titoli a bassa volatilità siano anche azioni di qualità. E’ importante quindi ragionare bene sull’asset allocation da realizzare.

Scegliendo quindi più fattori si aumenta la diversificazione e si riduce il rischio, ma di conseguenza anche il rendimento.

Un investitore consapevole che vuole anche gestire attivamente il proprio portafoglio esponendosi a determinati rischi, rappresentati dai fattori, dovrebbe considerare questa tipologia di ETF in un’ottica più ampia, inserendoli in portafoglio insieme anche ad altri strumenti non fattoriali, ma di mercato, o meglio passivi. Più si diversifica in maniera efficiente meglio è, e gli ETF fattoriali potrebbero rappresentare una buona opportunità per diversificare ulteriormente.

Per un investitore comune sarebbe quindi più corretto scegliere un ETF multi fattore, mentre chi ha conoscenza avanzate del funzionamento dell’economia e dei vari cicli, potrebbe scegliere uno o pochi fattori in base alla fase in cui ci si trova e poi ruotare il capitale maggiorato dal rendimento in altri fattori durante i cambiamenti del ciclo economico.

Per farsi un’idea di come un ETF fattoriale possa minimizzare le perdite, si può considerare l’ETF MSCI min volatility e quello MSCI World: da inizio anno il primo è giù dell’8,8%, mentre il secondo di quasi il doppio, ossia del 13,17%. Oppure l’iShares MSCI Intl Value Factor ETF è sotto da inizio anno di solo l’1,50%.

Nel grafico il confronto tra l’ETF iShares MSCI World Minimun Volatility e l’ETF iShares MSCI World.

L’attuale contesto economico ultrainflattivo e una possibile recessione potrebbero “premiare” (drawdown minori) i fattori value, quality e low volatility.

I rischi e il progresso tecnologico

Non mancano ovviamente i contro e i rischi derivanti dall’investire in fattori. Uno dei più grandi investitori di sempre, John J. Bogle, fondatore degli investimenti passivi a costi minimi, e di Vanguard, afferma “Non credo nei fondi fattoriali. Credo che i fattori vadano e vengano. Credo che l’andare e venire di un ciclo di fattori sia imprevedibile”.

Il rischio più grande, trattandosi di caratteristiche dei titoli individuate tramite analisi statistiche e quantitative, è che i dati inseriti nel modello rispecchino unicamente ciò che è successo in passato e che quindi non siano garanzia del futuro, oppure che non si inseriscano variabili importanti e che rimangano sconosciute. Operare con variabili sconosciute può alterare sensibilmente l’efficacia di un fattore, e rendere il modello valido magari per un determinato numeri di anni ma errato quando le variabili sconosciute saranno rilevanti nello spiegare uno specifico movimento di prezzo.

Infine, è importante precisare che è insito nella natura umana cercare di spiegare la realtà, che può essere decisamente casuale, basti pensare ai cigni neri di Taleb, attraverso l’uso delle prove empiriche, dei dati, delle schematizzazioni. Queste inducono gli individui a pensare che se un evento può essere spiegato con quei dati, magari anche in maniera forzata, allora ciò accadrà per sempre. Ma la storia ci insegna che così non è. Tuttavia, il progresso tecnologico, soprattutto in ambito Big Data, AI e IoT, miglioreranno le analisi predittive, riducendo gli errori, e le variabili sconosciute.

Fonti:

  • BlackRock
  • Morningstar
  • Visual Capitalist
  • MSCI
  • Investopedia
  • JustETF

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Nota bene: lo scopo dell’articolo è esclusivamente didattico ed esso non deve intendersi come la promozione di un particolare investimento. Tutti i marchi citati sono dei relativi proprietari.